VENEZIA – Quali sono i tre capisaldi della cultura statunitense? Le pistole, i cartoni animati e la frontiera. I tre ingredienti fulminano la storia, la infarciscono, la riempiono di sostanza, di quel pathos terreno e quotidiano, e al tempo stesso poetico e leggero, che trasudano i romanzi di Alessandro Baricco. Il suo Smith & Wesson (coprod Stabile Veneto e Stabile Torino) miscela i tre elementi, sullo sfondo il senso della vita, in uno scenario di conflitto generazionale irrisolto. Qui ognuno a suo modo è un Amleto che vede farsi presenza costante il fantasma del padre ingombrante. Tre come i personaggi, affacciati sull’abisso delle cascate del Niagara, proprio lì dove tutto crolla in ripide e rapide a infrangersi e distruggersi là sotto, lì dove la vita è più lieve perché lo strapiombo attira e incombe, attrae e macera nei suoi gorghi. Davanti a quello scroscio gigantesco ci si affaccia soltanto per due motivi: luna di miele o suicidio. Eros e Thanatos. Quello è il limite, il valico, la frontiera da non poter superare.

Alessandro Baricco e Gabriele Vacis 3

E proprio lì si incontrano, senza essersi scelti, un meteorologo che vuole annotarsi neve, pioggia e sole del passato per poter predire, e quindi controllare, il futuro, un pescatore di corpi di coloro che scelgono i cinquanta metri di tuffo tra Canada e Usa per farla finita, una giovane giornalista a caccia di una storia. Ognuno cerca la propria biografia.Tutti aspirano a qualcosa, tutti agognano se stessi, o almeno un’altra possibilità. Era complesso comprimere le vicende e gli spazi del volume firmato Baricco, anche aperti e maestosi e fragorosi, nella scatola teatrale; la scena risulta invece efficace con un cubo che, adeguatamente alzato da uno dei lati, o poggiato totalmente a terra o sospeso in aria, diviene casa, ricordandoci quella del nonno nel film d’animazione Up, sogno o barile. Già dalla copertina del libro (Feltrinelli, 108 pp) una nave in lontananza, speroni di parole ai lati, una cascata e un barile che cade o pare rimanere appeso come un salmone che risale la corrente o come uno spermatozoo che ascende la tuba di Falloppio perché qui c’è l’acqua ancestrale, il liquido amniotico, qui tutto finisce ed è qui, nella madre, nelle cascate, che tutto ha nuovamente inizio, un nuovo parto.

Smith&Wesson_da sx Natalino Balasso e Fausto Russo Alesi_foto di Serena Pea

Le Falls impetuose, la natura, anche quella umana, sono una possibilità, una chance da cogliere. Tom e Jerry, come il gatto e il topo dei disegnatori Hanna e Barbera, sono i nomi dei due protagonisti (per fortuna nessuna traccia di dialoghi beckettiani), mentre la ragazza porta il nome biblico di Rachel, che significa “pecorella”, smarrita aggiungiamo, alla ricerca del proprio posto nel mondo. L’impianto ha una foggia tarantiniana, una dimensione country dove Natalino Balasso si muove a proprio agio in quell’ansa di scioltezza e facilità di battuta (ci ricorda la padronanza e la personalità di Battiston), in quell’ironia frugale e tattile che ben si incastra alla saggezza spigolosa di Fausto Russo Alesi (si conferma tra i più grandi attori italiani ed è un piacere ascoltarne il modo, la grazia, il ritmo, sentir frusciare l’armonia in un tutt’uno con il senso intimo del teatro).

Smith&Wesson_da sx  Fausto Russo Alesi, Natalino Balasso e Camilla Nigro_foto di Serena Pea

C’è un’epica strisciante giallognola, una nostalgia seppiata, che da una parte tira verso i tempi andati, mentre dall’altra spinge con forza per mutare il destino, andare contro la propria sorte segnata, ribellarsi agli Dei andando incontro, senza paura delle conseguenze, alle loro ire. Sono piccoli uomini, minuscoli Icaro che sfidano la morte, minimi Teseo in bocca al Minotauro nel labirinto di schiuma e onde, miseri Davide stritolati da Golia, sognatori, avventurieri che tra “essere o non essere” scelgono, sotto l’impulso della ragazza (le donne sono sempre avanti e meno pavide), la prima opzione. Segni che emergono come scogli appuntiti di quelli che saettano le carene aprendole come scatolette di alici: il 21 giugno, inizio dell’estate, come momento epifanico del mutamento o del cambiamento, di rivincita; le isolette davanti alle cascate denominate “Tre sorelle” come nel dramma cechoviano. L’excursus è un countdown verso una fine che fine non è, che non può essere tale.

Se tutti si buttano nelle rapide per chiudere la loro esperienza terrena, i tre (la ragazza) hanno in mente di lanciarsi per vivere, per riemergere più forti, più sicuri, migliori, senza più timori, come nuovi Orfeo a riprendersi la propria esistenza-Euridice. Rachel (Camilla Nigro, ruolo impegnativo, molta la distanza con i due colleghi, a tratti butta sul piatto le battute) infilandosi nel cilindro di legno (l’utero materno) diventa la cagnetta Laika nello spazio, diviene Valentina Tereshkova, prima cosmonauta sovietica, in un cammino al contrario verso la salvezza. La regia di Vacis tiene nella prima parte per poi sgonfiarsi nell’epilogo nel quale si sente il peso letterario, il cercare la quadratura del cerchio, la spiegazione, la giusta conclusione didascalica senza lasciare niente alla fantasia dello spettatore. Ma dopotutto “non sei fregato veramente finché hai da parte una buona storia, e qualcuno a cui raccontarla”.

Visto al Teatro Goldoni di Venezia, il 4 maggio 2016

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