di Mirko Annunziata

Con l’arrivo di maggio, il Parlamento iraniano ha approvato una legge per aumentare la produzione di missili ad alta tecnologia di precisione balistica su corto, medio e lungo raggio. Secondo Teheran si tratta di una misura pensata esclusivamente per aumentare le capacità difensive del paese, come annunciato a marzo dall’ayatollah Khamenei, guida suprema della “Rivoluzione Islamica”, durante una dimostrazione militare con protagonisti alcuni di questi nuovi missili ad alta precisione, “ si tratta di un momento di grande orgoglio per l’intera nazione: i missili saranno la chiave per la sicurezza strategica del paese”. Le rassicurazioni iraniane sull’utilizzo dei missili a scopo strettamente difensivo tuttavia non sembrano aver tranquillizzato la comunità internazionale.

Gli Stati Uniti non hanno aspettato troppo a replicare e, durante l’annuncio del nuovo scudo anti missilistico Nato in Romania, hanno specificato come sia stato pensato non solo in funzione anti russa ma anche anti iraniana. Israele, dal canto suo, teme in particolar modo questa svolta iraniana, e l’uscita, in contemporanea alla votazione del Majlis, di un videogioco iraniano per smartphone in cui viene simulato il lancio di un missile verso Haifa, di certo non serve a rassicurare Gerusalemme. Sotto questo fronte, Israele potrebbe ricevere un inaspettato supporto dall’Arabia Saudita e dai paesi arabi affacciati sul Golfo Persico, per una volta concordi tra loro nell’affermare che la nuova strategia iraniana è “una minaccia” agli equilibri nella regione. Paure che l’Iran sembra deciso a fomentare, con una recente dichiarazione del consulente militare Ahmad Karimpour, il quale ha affermato che con questa nuova potenza missilistica l’Iran sarebbe in grado di “distruggere Israele in otto minuti”.

A preoccupare gli altri paesi, tuttavia, non è tanto il fatto che l’Iran possa disporre di più missili (il paese dispone già di un considerevole arsenale missilistico), quanto che i nuovi arrivati possano esser stati creati con un preciso intento: trasportare con sé bombe atomiche. Ne è convinta l’Onu, che di fronte ai test iraniani di dicembre dichiarò che i missili utilizzati “fossero in grado di trasportare ordigni nucleari”. Accuse rigettate da Teheran, che a sua volta replicò al Palazzo di Vetro che la produzione di nuovi missili ad alta precisione fosse la prova che il paese era disposto a trovare nuovi mezzi per la propria sicurezza senza dover ricorrere al nucleare a scopi militari, rispettando così l’accordo siglato con gli Stati Uniti nel 2015; patto in cui Washington avrebbe allentato la morsa sul percorso nucleare iraniano a condizione che fosse diretto per finalità esclusivamente civili.

L’Iran sembra dunque ancora intenzionato a mantenere lo status quo e a dichiararsi contrario alla costruzione di bombe, ma la situazione che si sta delineando in Medio Oriente potrebbe far sì che presto possa far calare ogni velo e presentarsi a pieno titolo tra il gotha delle nazioni dotate dell’atomica. Il 2016 sembra infatti poter essere l’anno della spallata finale contro Daesh. Se ciò avvenisse – e se il cessate il fuoco in Siria durasse quanto basta almeno ad abbozzare un processo di pace – ci si ritroverebbe a dover ripensare completamente Siria e Iraq (e in questi giorni di feroci proteste interne in Iraq, forse la sola soluzione per entrambe le nazioni potrebbe essere lo smantellamento). Con la Russia ormai defilata dal teatro siriano, e perciò ben disposta a supportare l’alleato nella regione, un’Europa che proprio non se la sentirebbe di fare il muso duro contro i ricchi contratti appena firmati con Teheran (fermo restando che, in ogni caso, non ne avrebbe la forza), resterebbero ad opporsi, come di consueto, i soli Stati Uniti.

Eppure Washington sembra essersi stancata di cercare di rimandare un processo che in molti considerano sostanzialmente inevitabile. Appurato che le sanzioni abbiano fallito nel far desistere gli iraniani, solo eventuali misure più drastiche potrebbero scongiurare che l’Iran disponga in futuro dell’atomica. E per drastiche s’intende esattamente la guerra. Una soluzione che nessuno dei due potenziali presidenti degli Stati Uniti da novembre, Donald Trump e Hillary Clinton, sembra disposto a prendere in considerazione; il primo è intenzionato a riportare gli Americani sulla via di un nuovo isolazionismo e la seconda che ha già visto nell’Oceano Pacifico e nel confronto con la Cina la prossima grande sfida per il paese. Anche la Turchia sembra essersi accorta che il processo di disimpegno americano in Medioriente sia irreversibile e, privo dell’appoggio americano, Erdogan si sta affrettando a tessere nuove relazioni con l’Iran, con la speranza di potersi spartire il Medio Oriente ispirandosi all’antica coesistenza tra gli Imperi Ottomano e Safavide.

Con una strada tanto sgombra verso il dominio in Medio Oriente, per l’Iran sarà dunque questione non di “se” (è probabile che le prime testate possano essere una gentile concessione da parte di Mosca che si sta già affrettando a rifornire Teheran di missili), ma di “quando” e “come” l’Iran farà uso del suo futuro arsenale atomico. I cittadini di Haifa con ogni probabilità potranno dormire sogni tranquilli: l’Iran non è la Corea del Nord e il nucleare servirà a cementificare la sua egemonia sul Medio Oriente, portando a termine un processo sul quale il paese sta pazientemente lavorando da anni. Uno scenario che senza dubbio non farà dormire Gerusalemme, che potrebbe aver a che fare con paesi confinanti sempre più satrapie dell’Iran, non più disordinate e litigiose, ma coordinate dal nuovo egemone regionale il quale, se diventerà tale, lo sarà più per l’inerzia che per il beneplacito delle grandi potenze globali.

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