Sostanza di un ricordo, istantanee frammentate di un mattino macaioso, un percorso lungo le vie di Genova, dalla chiesa di San Benedetto al Porto, passando per Principe e via Balbi, fino ad arrivare alla Chiesa del Carmine; via San Benedetto è un fiume di gente che, a tappe, si ferma davanti al portone di quella piccola chiesa genovese in faccia al porto. Piove. Molti ombrelli si aprono, altri sono rimasti a casa, dimenticati e inutili. I visi stanchi, tirati, persi. Ho il cappuccio della felpa, lo uso, e in fondo quella pioggia non dà così fastidio, è quasi necessaria. È pioggia fresca di maggio e sembra che le lacrime che in tanti continuiamo a deglutire, trovino in lei uno sfogo apparente. Forse abbiamo solo paura di non riuscire più a fermarle, e allora restano bloccate in gola come fossero un gomitolo inestricabile di emozioni che interrompe a tratti il respiro. Forse vogliamo sembrare forti e lo siamo davvero. Forse ognuno di noi sente il bisogno di piangere in silenzio, lontano dalla folla, dalle foto dei giornalisti e dalle telecamere. Abbiamo bisogno di piangere da soli. No. Non è proprio il momento di piangere. Non ce lo concediamo e non possiamo, per imposizione inconsapevole. Non noi. Non i suoi ragazzi.

Ci alziamo presto la mattina del 25 maggio 2013. Alle 16:45 di due giorni prima il cuore di Don Gallo aveva smesso di battere, il cuore di Andrea, il cuore del Gallo; il cuore del nonno, del padre, dell’amico, del confidente, del maestro, della guida spirituale, del consigliere, del complice, del fratello, del compagno. Il cuore di Don Andrea Gallo non faceva più rumore, eppure non abbiamo mai immaginato o percepito il suo silenzio. Il 24 maggio, avevamo fatto tardi. Lo avevamo ancora lì con noi, volevamo il nostro momento, il nostro funerale profano, la nostra veglia fatta di ricordi, saluti e canzoni, balli sull’altare. Dalla solitudine alla festa, come ci diceva lui. Sono venuti in tanti, ma era ancora un po’ nostro, ancora un po’ protetto dai nostri sguardi e dalle nostre premure. Però il Gallo era di tutti. E allora ricordo il dolore sordo che ho provato quando all’improvviso abbiamo dovuto condividerlo di nuovo, quando concretamente e fisicamente abbiamo dovuto farlo andare. Di nuovo, fra la sua gente. La gente tutta.

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Almeno un migliaio di persone lo aspettano per il corteo che deve riportarlo alla sua prima casa, la chiesa del Carmine; una moltitudine, che di colpo diventa Bella Ciao, diventa applausi e silenzi nel medesimo istante. I suoi ragazzi più forti lo tengono in spalla, fieri e fragili allo stesso tempo. Genova è diversa, stralunata, in un disordine composto e caotico che confonde, Genova è consapevole ma ancora incredula. Eccolo il Gallo. Apriamo le porte, lo riportiamo fra la gente, venuta da ogni dove. Booom! “Una mattinaaaa, mi son svegliatoo, O BELLA CIAO, BELLA CIAO, BELLA CIAO CIAO CIAO”. Stretti, luno allaltro. Noi donne della comunità ci teniamo a braccetto e formiamo il cordone che lo separa dal corteo; dietro di noi i camalli del porto ad assicurarsi che tutto vada come deve andare, poi la fossa dei grifoni, i “pulcini” del Genoa al suo fianco insieme ai familiari.

Poi quasi più niente. Il mio ricordo è confuso, le immagini sfocate, i colori si mischiano condividendo i pigmenti comuni e accettando quelli contrastanti. Del funerale vero, quello in chiesa con il cardinale Bagnasco, non mi interessa parlare. Per me era già tutto finito. Ricordo il senso di vuoto, mentre torno a casa. L’aria fresca sulla faccia, quella che ancora oggi, sempre, sento intrisa della sua essenza e delle sue parole di libertà. Ma Don Gallo ha lasciato un patrimonio che non può essere soltanto di chi ha avuto il privilegio di conoscerlo e fare un pezzo di strada insieme a lui. E , anche per questo, il 31 maggio a Genova si terrà la conferenza “Dalla strada alla storia”, per l’archivio Don Andrea Gallo, presso Palazzo Ducale alle 17:45; un primo importante passo che porterà verso l’archiviazione di tutti suoi scritti e documenti, affinché possano essere un giorno patrimonio di tutti.

Poi passerà un altro anno, un altro anniversario della morte, della nascita, e così via, fino a quando si manterrà memoria. L’articolo di giornale, poi il trafiletto, poi il post su Facebook. C’è chi invece lo ricorda ogni giorno, ogni giorno lo nomina almeno una volta quasi fosse inevitabile, perché lo percepisce in tutto ciò che fa, che dice, che osserva. In ogni ragionamento, micro particella di pensiero; ce l’abbiamo nella carne, lo portiamo con noi in ogni lotta quotidiana, in ogni denuncia di ingiustizia sociale. Siamo tanti. A volte sembriamo mica normali! È stato splendido…

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