L’ex amministratore delegato di Unicredit Alessandro Profumo e l’ex numero uno di Unicredit corporate banking Piergiorgio Peluso, figlio dell’ex ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri e oggi direttore finanziario di Telecom Italia, sono indagati dalla procura di Torino con l’accusa di usura bancaria. L’inchiesta coordinata dal pm Cesare Parodi è nata dalla denuncia di Giuliano Besson, ex campione della Valanga azzurra che dopo l’addio allo sci agonistico si è dato all’imprenditoria fondando con il compagno di squadra Stefano Anzi un’azienda di abbigliamento sportivo e diversificando poi nel settore alberghiero. Besson, nei cui confronti l’istituto di piazza Gae Aulenti ha fatto emettere tra 2007 e 2014 numerosi decreti ingiuntivi sfociati in pignoramentiha querelato la banca per usura ed estorsione lamentando, come si legge nella querela presentata dall’avvocato Biagio Riccio, di essere stato vittima di una speculazione “brutale, divorante e famelica”. E il procuratore torinese, esaminate le consulenza tecniche sui contratti derivati che gli erano stati fatti firmare contestualmente ai finanziamenti, ha bloccato le procedure espropriative. Per poi iscrivere nel registro degli indagati cinque ex manager di Unicredit tra cui appunto Profumo.

Il rapporto di Besson con l’istituto è iniziato a fine anni Novanta, quando l’ex sciatore ha ricevuto dall’istituto di piazza Gae Aulenti un’apertura di credito legata a un conto corrente, mutui e leasing per un totale di oltre 600mila euro. A ogni contratto erano associati interest rate swap, cioè derivati sui tassi di interesse. Stando alla consulenza tecnica presentata al tribunale torinese nell’aprile 2014, “su tutti i conti correnti è stata rinvenuta usura oggettiva e soggettiva” e i derivati hanno causato perdite andando ad aumentare i debiti di Besson nei confronti della banca. Che nel 2012 ha ottenuto tre decreti ingiuntivi a fronte dei quali l’imprenditore ha dovuto vendere parte dei suoi beni e dare fideiussioni. Dopo il pignoramento è partita la procedura di esproprio, che avrebbe riguardato anche i complessi immobiliari adibiti ad hotel.

Nell’aprile 2014 però il pm di Torino, con un’iniziativa senza precedenti, ha emanato un provvedimento di sospensione per 300 giorni, poi prorogati, delle attività esecutive di Unicredit. Decisione presa dopo aver “valutato l’andamento delle indagini preliminari relative ai procedimenti per reati di cui agli articoli 644 c.p (usura, ndr), nell’ambito del quale il soggetto nel cui interesse è stata presentata l’istanza ha assunto il ruolo di persona offesa in relazione al delitto di cui all’art 644 c.p. e in particolare del fatto che il ct ha evidenziato “per alcuni trimestri l’addebito da parte della banca di tassi di interesse superiori al cd tasso soglia“. Cioè tassi usurari, appunto.

A fronte di un credito di 285mila euro, calcolato sottraendo da tutte le esposizioni accumulate le cifre che Besson ha pagato vendendo parte del proprio patrimonio immobiliare, “è stato di fatto ipotecato un patrimonio che è pari ad euro 3.484.695,02, secondo quanto emerge dal lavoro peritale di stima di tutti i cespiti del sig. Giuliano Besson”, si legge nella querela. “Sia che si consideri l’importo dei tre decreti ingiuntivi sia che si valuti quello dell’accordo del maggio 2012, sta di fatto che al gruppo Besson deve comunque essere restituita la ragguardevole cifra di euro 604.912,68, oltre quanto già pagato e quanto di fatto venduto per il rientro parziale comunque avvenuto”. Ma, continua il documento, “la Banca ad oggi in ragione di crediti usurari ha bloccato un patrimonio superiore di almeno quattro volte. Siamo al cospetto del tipico comportamento dell’usuraio. E’ stato violato infatti l’equilibrio sinallagmatico siccome la Banca ha preteso garanzie enormemente superiori agli affidamenti concessi. Tuttavia valutando il suo agire come quello di chi ha perpetrato il reato di usura, ha di fatto bloccato nell’uso il diritto di proprietà del sig.Giuliano Besson, spogliandolo di fatto delle sue sostanze”.

Le indagini successive di Parodi, che hanno riguardato anche altri quattro casi di finanziamenti di Unicredit ad altre società, hanno fatto emergere presunte responsabilità delle ex prime linee della banca, finite per questo nel registro degli indagati. Peluso, sempre in qualità di ex numero uno del corporate banking di Unicredit, lo scorso febbraio è stato rinviato a giudizio per concorso in bancarotta in relazione al fallimento di Imco, una delle holding della famiglia Ligresti.

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