Diciamolo apertamente: in un Paese come il nostro, dove fino a un anno fa divorziare era lungo, difficile e costoso, poterlo fare in tempi drasticamente più rapidi (da tre anni a sei mesi), non più solo in tribunale (ma anche in Comune senza avvocati e in trenta giorni) e alla modica cifra di 16 euro (in pratica quasi gratuitamente), sarebbe stato davvero un gran servizio ai cittadini. Non fosse altro che per questo, la legge n. 55 del 6 maggio 2015 e il decreto-legge n. 132 del 12 settembre 2014, di poco precedente, avrebbero meritato il titolo di “provvedimenti pro populo”. Tuttavia buona parte dei provvedimenti adottati per far luccicare gli occhi ai cittadini (o più verosimilmente l’operato del governo) si rivela spesso un’autentica trappola. Ecco allora che la promessa di un divorzio “cotto e mangiato”, almeno per le coppie senza figli minori, disabili o maggiorenni non autosufficienti né patrimoni da dividere, risulta puntualmente disattesa.

Se si escludono infatti quelli più piccoli, che, per ovvie ragioni di minor impatto numerico, sono riusciti ad assorbire senza troppi traumi le nuove competenze, oggi i Comuni sono veri e propri purgatori, con liste di attesa al limite del ragionevole: tre settimane a Firenze, un mese e mezzo a Catania e Napoli, quasi due a Cagliari; poi la situazione si fa drammatica con i quattro mesi di Venezia, i cinque di Bari e Milano, i sette di Bologna e l’anno di Genova. Per quanto riguarda Roma meglio mettersi comodi, perché l’ufficio separazioni e divorzi neppure risponde. Un risultato disastroso che non può che essere frutto di una pianificazione superficiale e approssimativa del disegno di legge iniziale, che non ha tenuto conto né del sottodimensionamento cronico degli organici degli uffici pubblici né, ed è un’aggravante, del gran numero di domande ipotizzabile a seguito della sua approvazione.

Un paradosso assoluto se si considera che, proprio le variabili più prevedibili (cioè quelle su cui il governo avrebbe dovuto poggiare qualsiasi ragionamento e che avrebbero dovuto fare la fortuna di questa nuova formula), stanno trasformando una procedura di non più di trenta giorni in un iter lungo quanto, se non più, di un addio davanti al giudice. E all’amarezza non può che aggiungere altra amarezza il laconico commento di Angelo Tomasicchio, assessore ai servizi demografici di Bari: “Non ce la facciamo. Da noi l’ufficio è composto da una sola unità. La verità è che trasferendo le competenze ai Comuni si sono svuotate le aule giudiziarie e riempiti i nostri uffici”. Una verità che accomuna tanti funzionari pubblici italiani, anch’essi – proprio come i cittadini – vittime incolpevoli di un governo che promette, non mantiene, ma per il quale è sempre #lavoltabuona.

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