Dagli anni Sessanta la città di Gela convive con le attività industriali della vicina raffineria che ha garantito per decenni occupazione a tutta l’area. Oggi, con il settore petrolchimico in crisi e la riconversione “green” della raffineria – dovrebbe produrre bio (?) diesel proveniente da olio di palma – che tarda a diventare realtà, i cittadini gelesi rischiano di ritrovarsi come unica eredità le drammatiche conseguenze ambientali e sanitarie generate dalla raffineria nel corso di più di mezzo secolo. Le attività del polo industriale di Gela, da cui prende il nome l’omonimo Sito di Interesse Nazionale (Sin), una delle aree del nostro Paese in cui la quantità e pericolosità degli inquinanti richiede interventi di bonifica, hanno comportato una progressiva contaminazione dell’ambiente con livelli estremamente elevati di inquinanti tossici, persistenti e bioaccumulabili.

Benzene, mercurio, arsenico, benzo(a)pirene, cloruro di vinile, 1,2 dicloroetano sono solo alcune delle sostanze tossiche, collegate a numerose patologie, che negli anni hanno di molto superato le concentrazioni limite previste dalle normative vigenti nei suoli e nelle falde dell’area del Sin. L’inquinamento generato dal polo industriale ha continuato a contaminare l’ambiente circostante per anni, visto che le bonifiche previste sono state effettuate a rilento o sono ancora da realizzare. Al quadro ambientale estremamente critico si aggiungono le conseguenze che gli abitanti della località siciliana continuano a subire sulla propria pelle. Malformazioni agli organi genitali (ipospadie) e altre malattie come asma, tumore ai polmoni, allo stomaco e al colon-retto sono solo alcune delle patologie che, con un’incidenza più alta rispetto alla media nazionale, colpiscono gli abitanti di Gela.

Ma c’è una parte di gelesi che non si arrende ed è passata al contrattacco in sede legale. Sono infatti numerosi i filoni d’inchiesta legati all’inquinamento generato dal petrolchimico di Gela. Molti di questi sono ancora in fase dibattimentale e riguardano l’esposizione all’amianto, le morti tra gli ex dipendenti dell’impianto “Clorosoda” (uno degli impianti dismessi della raffineria), gli incendi al reparto “Topping” e gli sversamenti in mare di sostanze inquinanti. In sede civile invece si stanno dibattendo le richieste di risarcimento danni per i bambini nati con gravi malformazioni e per le malattie contratte dagli ex dipendenti, a causa dell’inquinamento nei posti di lavoro. Tra i vari procedimenti in corso, però, uno è già in una fase molto più avanzata e ha visto, qualche mese fa, la richiesta di rinvio a giudizio di 22 tra direttori e tecnici della raffineria stessa e dell’Enimed (tutte società collegate ad Eni), in merito all’inchiesta sull’inquinamento ambientale causato dal petrolchimico nell’ultimo decennio.

Una notizia che non sta trovando molto spazio sui media nazionali, nonostante le accuse della procura siano gravissime. Si parla di disastro ambientale, omesse bonifiche e violazione dei codici ambientali. Qualora confermati in sede processuale, questi reati prevedono pene comprese tra 3 e 12 anni di reclusione. Si tratterebbe però solo di una magra consolazione per un’area della Sicilia che purtroppo subirà le tragiche conseguenze di decenni di inquinamento ancora per molto se non si provvederà con urgenza a bonificare l’area.

Enigate

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