Ieri, diciassette ex ministre francesi di aree politiche differenti hanno lanciato lo slogan Nous ne nous tairons plus (Non staremo più zitte) contro il sessismo che vige, ancora oggi, nei palazzi istituzionali. La misura è colma e lo hanno scritto in documento pubblico: “Ci siamo impegnate in politica per ragioni diverse, difendiamo idee differenti, ma condividiamo la volontà che il sessismo non abbia posto nella nostra società. Questo flagello non è lontano dal nostro universo, anzi, ma il mondo politico ha il dovere di dare l’esempio. Coloro che scrivono le leggi le votano, sono incaricati di farle applicare, devono rispettarle e quindi essere irreprensibili. Come tutte le donne che accedono ad un ambiente prima considerato esclusivamente maschile abbiamo dovuto subire e lottare contro il sessismo. Ora basta. L’impunità è finita. Non taceremo più”. A scatenare l’indignazione è stato un caso di molestie sessuali. Il deputato verde Denis Baupin, l’8 marzo scorso era stato immortalato in un manifesto contro la violenza sessuale ma poi  è stato denunciato proprio  per molestie  da ben otto donne. La prima a rompere il silenzio è stata Elen Debost, sindaca aggiunta di Mans. E’ sbottata smascherando l’ipocrisia di colui che le aveva inviato almeno 150 messaggi osceni. Baupin si è dimesso ma nega ogni accusa mentre alcuni suoi colleghi non l’hanno ancora capita e banalizzano l’accaduto, scrivono i quotidiani francesi, con battute goliardiche.

Un anno fa, un gruppo di giornaliste francesi aveva lanciato l’appello Bas Le Pattes (Giù le mani) contro le molestie dei politici e sotto accusa era finito Michel Sapin, ministro delle finanze che aveva allungato le mani su una cronista.  Qualche anno fa, era stato il turno di Georges Tron, indagato nel 2011 per molestie contro due donne. Negli Stati Uniti nel 2011 Antony Weiner si è dovuto dimettere dall’incarico di deputato per l’invio di foto (non richieste) dei suoi genitali alle sue elettrici.

Qualche anno fa l’indagine dell’Istat rivelò che in Italia la metà delle donne tra i 14 e i 65 anni di età avevano subito molestie sessuali, ovvero 10 milioni 485 mila: dati significativi di fenomeno sommerso che non conosce barriere. Insulti, battute volgari e molestie avvengono ovunque.  Nel nostro parlamento gesti o parole offensive  frequentemente vengono rivolte a deputate e senatrici dai colleghi (e non solo) ma non accade solo a casa nostra. Negli Stati Uniti, durante la campagna elettorale, lo scorso mese di aprile, Donald Trump, alludendo agli scandali sessuali che avevano travolto la Casa Bianca ai tempi della presidenza di Bill Clinton, pubblicava un tweet volgare contro l’avversaria Hillary Clinton, in corsa per la presidenza: “Se non riesce a soddisfare suo marito come può soddisfare l’America?”.

Anche le molestie sessuali contro le donne sono un mezzo per imporre potere e dominio maschili. L’intreccio tra il potere e una sessualità espressa in maniera predatoria e prevaricante svela, nello stesso tempo, fragilità e debolezze che esigono il mantenimento di una rassicurante disparità di potere nella relazione con le donne e la arrogante aspettativa di una loro incondizionata acquiescenza. Spetta purtroppo alle vittime il compito più gravoso: quello di interrompere il silenzio e di svelare l’indicibile.

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