Sono stati pubblicati quest’anno da Princeton University Press due libri molto interessanti sull’evoluzione del rapporto tra Israele e la comunità ebraica negli USA: The star and the stripes di M.N. Barnett e Trouble in the tribe di D. Waxman. Entrambi riferiscono di un calo di interesse e di supporto della comunità ebraica degli Usa nei confronti dello stato d’Israele, un fenomeno sociologico che era già stato notato.

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Non scriverò su questo blog una recensione dei due libri: ce ne sono parecchie sulla rete, sia favorevoli che contrarie ; farò invece una considerazione. Entrambi i libri sottolineano il processo (per ora allo stadio iniziale) di allontanamento della comunità ebraica degli Usa da Israele ed entrambi indicano una generale diminuzione del senso di appartenenza dei giovani alla comunità di riferimento. Mi pare che il fenomeno in corso nella comunità ebraica degli Usa sia parallelo al generale diminuire del senso di identità nazionale nei paesi occidentali. Anche noi ci sentiamo italiani in un senso blando e generico: sappiamo che sta scritto nel nostro passaporto, ma la retorica patriottica del libro Cuore ormai ci da fastidio, e penso che fenomeni analoghi si verifichino in tutti i paesi occidentali.

I sentimenti di identità nazionali erano figli del romanticismo ottocentesco, e sono stati messi in crisi prima dall’idea dell’internazionalismo socialista e poi dalla globalizzazione. Questa evoluzione non esclude che possano verficarsi ancora episodi di razzismo, ma ne cambia la natura: possiamo diventare razzisti in senso campanilista, come la Lega Nord, che vorrebbe separare la Padania (se lo vuole ancora); oppure possiamo diventare razzisti per avarizia, nei confronti degli immigranti che sfuggono a situazioni di persecuzione nel loro paese d’origine.

L’identità ebraica è sempre stata problematica e molti intellettuali si sono posti il problema non facile di definirla, spesso finendo per rinunciarvi . Senza andare troppo per il sottile, l’idea che esista un popolo scelto da Dio non fa più presa, ed anche l’identificazione del gruppo attraverso l’adesione ad un culto fallisce: esistono ebrei atei, convertiti, etc.; le identificazioni razziali, oltre ad essere insostenibili scientificamente, ci fanno orrore; quelle genealogiche, al modo della Bibbia, sono irrilevanti e ci annoiano.

Il risultato è che il senso dell’identità di gruppo degli ebrei, come quella dei cattolici, degli italiani o dei francesi, si affievolisce: ciò che ne resta è che uno “si sente” ebreo o cattolico, italiano o francese, ma se minimamente si è posto il problema, sa che non è più possibile o significativo “essere” ebreo o cattolico, italiano o francese, e che queste categorie non appartengono al mondo dei fatti e dei dati scientifici, ma a quello delle opinioni e dei convincimenti. Come aveva scritto Karl Deutsch, un popolo è un gruppo di persone che condivide un errore comune sulla propria origine e una comune antipatia per i propri vicini.

A fronte della generica caduta di interesse nei confronti delle identità nazionali, la politica di Israele verso il popolo palestinese, sanzionata più volte dall’Onu, non invoglia l’avvicinamento dei giovani ebrei americani, tanto più che molti intellettuali ebrei sia negli Usa che in Israele si sono pronunciati molto criticamente. E’ possibile che la naturale caduta di interesse delle ideologie in senso lato nazionalistiche spinga Israele a rivedere la sua politica nei confronti della questione palestinese, se non altro allo scopo di recuperare il rapporto con la comunità ebraica degli Usa? E’ presto per dirlo e non si vedono al momento indicazioni in questo senso; d’altra parte la pace si fa in due e un passo avanti sarebbe necessario anche da parte dei palestinesi e in genere del mondo arabo.

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