“Sono stato epurato. Non ci sono dubbi. Anche perché non c’è nessun’altra motivazione politica”. Piero Lacorazza (Pd) non è più presidente del consiglio regionale della Basilicata da neanche tre ore. Al suo posto l’alfaniano Franco Mollica (Udc). Sostituito. “Epurato” dice lui, perché si è speso troppo in favore del Sì al referendum del 17 aprile contro le trivelle. Ci ha messo la faccia. “E ho dato fastidio a qualcuno” sottolinea a ilfattoquotidiano.it, prima di legare la sua destituzione a un altro referendum, quello di ottobre sulle riforme costituzionali: “Pago anche il fatto di non essermi ancora espresso a favore del Sì”.

Qualcuno le ha fatto notare che avrebbe dovuto prendere posizione in tal senso?
Sì certo. Me lo hanno fatto intendere chiaramente. Ma non baratto una poltrona con la mia libertà personale.

Sta parlando di pressioni dirette o di allusioni?
Sono giovane, ma certe cose le capisco alla perfezione. Volevano che mi esprimessi per il Sì, io non l’ho fatto.

Quindi sta dicendo che a ottobre voterà no?
Non ho ancora deciso. L’unica certezza è che non posso in nessun modo percepire un condizionamento politico su una riforma costituzionale i cui effetti influiranno direttamente sulla vita dei miei figli.

Allineamento alla linea del partito o niente poltrona: è un ricatto?
Non lo so. Di certo se si creasse un fronte per il No sarebbe un fatto molto sgradito ai vertici democratici, specie se partisse dalla Basilicata, unica regione d’Italia ad aver raggiunto il quorum il 17 aprile.

Quando, un attimo dopo l’esito del voto, il premier disse che gli sconfitti erano “quei pochi, pochissimi consiglieri regionali e qualche presidente di Regione che ha voluto cavalcare un referendum per esigenze personali politiche”. Lei faceva parte della categoria.
Beh sì. Del resto mentre Renzi parlava il renziano Ernesto Carbone ha fatto nomi e cognomi, twittando il famoso #ciaone accompagnato dal mio nome e da quello di Michele Emiliano. Me l’hanno fatta pagare, insomma. Ma non c’era, non c’è e non ci sarà alcuna strategia né convenienza politica personale. Pago questo prezzo solo per aver mantenuto la mia opinione sul referendum e soprattutto sul rispetto delle regole. Perché di rispetto delle regole si tratta, non di essere ambientalisti o No Triv.

Ora resterà nel Pd o cambierà partito?
Resto, resto. Specie per il rispetto nei confronti dei 3 milioni di italiani che hanno votato al referendum nonostante l’invito a non andare alle urne da parte del premier e dell’ex presidente della Repubblica. Sono orgoglioso di aver fatto scelte in autonomia, libertà e trasparenza senza piegarmi a nessuna logica di potere e di partito. Io mi sento di aver vinto quella battaglia.

Ma per Renzi e Carbone lei fa parte degli sconfitti.
E intanto il governo nei sondaggi post referendum ha perso 1,5 punti e hanno paura che si formi dal basso un altro fronte per il no. E poi sa una cosa?

Dica.
Se non avessimo portato avanti i quesiti referendari, il governo non avrebbe recepito la maggior parte dei quesiti nella Legge di Stabilità, le compagnie petrolifere non avrebbero rinunciato e, soprattutto, non ci sarebbe stato il divieto a trivellare entro le 12 miglia marine. Restava l’ultimo quesito.

Quello sul cosiddetto favore ai petrolieri sulle concessioni sine die.
Bisognava portarlo avanti per una questione di coerenza e perché era legittimo. Altri hanno preferito sfilarsi, sottolineando che con la Stabilità 2016 la vittoria era stata già raggiunta. Io ci ho messo la faccia e il mio impegno. Eppure mi hanno fatto notare che la mia è stata una esposizione eccessiva.

Insomma, ha dato fastidio ai vertici del partito. Anche a livello regionale pare di capire, specie dopo quanto accaduto oggi. Cosa vuol dire a Marcello Pittella?
Che il suo è stato un grave errore politico. La scelta è legittima, ma doveva motivarla. Non lo ha fatto e ha sbagliato.

E intanto lei resta senza poltrona.
Pazienza. La mia libertà d’opinione però è intatta.

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