Un lavoro che è durato tre anni, una ricerca condotta da casa sua, dalla canadese Montreal, che lo ha portato a scoprire una città Maya finora sconosciuta, nascosta nella giungla dello Yucatan. Si tratterebbe di una delle cinque città dell’antica civiltà precolombiana più grandi finora mai scoperte. Gli unici aiuti? Wikipedia e Google Earth. Il protagonista è William Gadoury, studente 15enne, che è arrivato alla scoperta sulla base di una teoria da lui formulata incrociando le costellazioni Maya e le loro città. Una ricerca che gli è valsa gli elogi della Nasa e dell’Agenzia spaziale canadese, come segnala il sito Sciencealert.

Senza sorvolare le foreste dall’alto o fare scavi, il ragazzo ha compreso che le città di questa antica civiltà erano costruite in allineamento con le stelle. “Non capivo perché i Maya costruissero le loro città lontano dai fiumi, in aree remote e montuose – ha spiegato – Dovevano farlo per un’altra ragione, e dato che veneravano le stelle, ho pensato di verificare la mia ipotesi. Sono rimasto sorpreso quando ho scoperto che le stelle più brillanti delle loro costellazioni combaciavano con le più grandi città Maya”.

Da anni Gadoury studiava le 22 costellazioni Maya. Cosa che gli ha permesso allineare la posizione delle loro 117 città con le stelle. Con quest’idea ha localizzato la 23esima costellazione, fatta di 3 stelle. Ma secondo la sua mappa, c’erano due città e tre stelle. Da qui l’idea di una terza città rimasta nascosta, in una regione remota della penisola dello Yucatan. L’analisi delle immagini satellitari di diverse agenzie spaziali, come quella canadese, giapponese e la Nasa, hanno mostrato che effettivamente in quell’area c’era una piramide e una trentina di edifici. Il giovane archeologo l’ha provvisoriamente battezzata K’àak’ Chì, cioè città di fuoco, e ora lavorerà con i ricercatori dell’Agenzia spaziale canadese per pubblicare la sua scoperta su una rivista scientifica.

Articolo Precedente

Papa Francesco, il pontefice ‘bestseller’

next
Articolo Successivo

Whatsapp e l’essere genitore: ‘Io, mammeta e lo smartphone’

next