Avete presente il bicchiere metà pieno oppure mezzo vuoto, a seconda di spirito ed ottica con i quali lo si osserva? Le “cifre” che interessano il futuro dell’idrogeno suscitano proprio quest’interpretazione ondivaga. Almeno stando a quelle venute fuori dalla ricerca del colosso della consulenza IHS – attivo in 33 paesi sui principali campi industriali, impiegando circa novemila persone – che per l’appunto prevedono appena lo 0,1 per cento di penetrazione dell’intero mercato automobilistico nel 2027, per quella che da tutti viene considerata la soluzione alternativa sia all’elettrico puro che ai carburanti convenzionali.

Sin qui sarebbe il famoso bicchiere mezzo vuoto, ma d’altro canto la stessa proiezione indica una dote di unità circolanti futura superiore alle 70 mila all’anno: sempre pochine – più o meno un’auto a idrogeno ogni mille altre prodotte –, ma un dato comunque più che sufficiente per alimentare mercati più estesi ed evoluti dell’attuale. Che vede al momento in produzione soltanto tre modelli: Toyota Mirai (nella foto), Honda Clarity e Hyundai ix35/Tucson, anche se entro il 2021 è previsto l’ingresso in questo settore di diversi costruttori europei.

Eppure, tecnologicamente la soluzione delle celle a combustibile alimentate a idrogeno per produrre energia elettrica può essere considerata un po’ come il… “meglio dei due mondi”, tra elettrico e convenzionale, grazie ad un approccio alla mobilità più pulita con minori svantaggi: rifornimenti in tempi e modi pressoché del tutto analoghi a quelli cui siamo abituati con le auto “normali”, autonomia di tutto rispetto, ma anche emissioni della vettura pari a zero (dallo scarico esce giusto un po’ d’acqua di tanto in tanto).

Secondo gli studi IHS, dunque, il freno più grande alla diffusione ampia di questa soluzione è negli elevati costi di produzione che interessano sia i veicoli a idrogeno, sia gli impianti di distribuzione. L’infrastruttura al dettaglio è tutta da inventare pressoché ovunque e, al di là dei problemi legislativi tutti italiani che ne limitano già sulla carta la potenziale diffusione, il costo notevole di ogni singolo punto di erogazione resta uno scoglio (in un decennio dall’avvio del progetto idrogeno, esistono solo un centinaio di stazioni di rifornimento nel mondo).

C’è poi una questione “verde”: quantità sempre maggiori di produzione di idrogeno devono essere derivate da fonti rinnovabili, al contrario del cosiddetto “idrogeno marrone” ricavato da gas naturale, idrocarburi liquidi e carbone. Per gli analisti IHS Automotive, insomma, il mercato FCEV (veicoli elettrici a celle combustibile, Fuel Cell Electric Vehicle) conserva tecnicamente una reale finestra di opportunità per affermarsi come serio contendente nella mobilità a zero emissioni di carbonio a lungo termine, ma deve riuscire a farlo nei prossimi 20-25 anni per non rimanere relegato ad applicazioni di nicchia. Nel futuro dietro l’angolo, faremo dunque il pieno alla pompa a idrogeno o dalla presa di casa?

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