C’era una volta il quotidiano di carta, e per uno zoccolo duro di lettori, il cui numero è in calo, c’è ancora: circa quaranta fogli in media, divisi per argomento, in cui articoli e commenti si alternano a spazi pubblicitari. Formato che, per vocazione, integra il racconto dei fatti con la loro interpretazione: ospita dunque articoli di un’intera pagina o di più pagine, in cui i giornalisti hanno l’opportunità di approcciare argomenti complessi concedendosi la facoltà spesso determinante di contestualizzare la notizia e di confrontare più fonti e più punti di vista.

C’era una volta e ci sarà sempre meno, e lo sappiamo. Internet ha incrinato dalle fondamenta il modello pubblicitario tradizionale che sorreggeva l’editoria. Inoltre, i social media e più in generale l’ambiente digitale hanno reso possibile una fruizione in tempo reale delle notizie. E questo ha messo in crisi il senso stesso del “cartaceo” inteso come prodotto giornalistico in grado di fare sintesi del giorno prima e consegnarne una rappresentazione statica. Perché su altri media è possibile raccontare e interpretare i fatti mentre accadono, o almeno provarci, sicuramente senza l’obbligo tecnico di mettere in moto una rotativa e distribuire i fogli in edicola: non è più solo la tv a farlo, ma anche tutto quello che c’è sul web.

Del resto, con la rivoluzione digitale molto altro è cambiato nel lavoro giornalistico. In primis, secondo molti, il fatto che la lettura da mobile devices come cellulare e tablet implichi ormai una “dittatura” delle breaking news, ovvero delle news “ultim’ora”, o comunque degli articoli in formato breve, a discapito di quel long form che era invece il formato più rappresentativo del quotidiano tradizionale. Ma recenti ricerche testimonierebbero invece che, a riguardo, è in corso un’interessante inversione di tendenza. Secondo infatti un’indagine del Pew Reasearch Center, la lettura di “pezzi” lunghi starebbe acquistando un peso crescente nell’attenzione del lettore, anche in un ambiente mediatico sempre più centrato sui dispositivi “mobile”.

La ricerca poggia su dati forniti da Parse.ly, società che fornisce analisi web a più di 170 media company di  tutto il mondo. Nel settembre 2015, Parse.ly ha analizzato oltre 117 milioni di “interazioni”, ovvero click da smartphone, verso 74480 articoli selezionati da 30 giornali on-line. Dato importante: soltanto il 24% dei “pezzi” inseriti nell’indagine erano di “long form”, ovvero composti da più di 1000 parole. Ebbene, il monitoraggio ha riscontrato che il tempo medio di coinvolgimento del lettore su questo genere di articoli è stato più del doppio di quello ottenuto dalle news brevi, cioè ben 123 secondi in media per articoli di long form contro 57 secondi per articoli short: un tempo che può sembrare relativamente breve, certo, ma non lo è affatto se raffrontato alla durata media di un servizio giornalistico di una tv locale, che ammonta a circa due minuti.

Altro rilievo interessante della ricerca, che ha coinvolto complessivamente 71 milioni di utenti unici, il numero complessivo di accessi agli articoli. Gli articoli di long form attrarrebbero infatti un numero medio di visitatori quasi pari a quello delle brevi: in media, 1530 lettori per ogni articolo lungo contro 1576 per un breve. Con buona pace di quanti affermano che l’avvento dell’ambiente digitale abbia impoverito irreversibilmente lettura, scrittura e profondità di pensiero, dati come questi mostrano invece quanto cronaca, interpretazione e contestualizzazione dei fatti abbiano ancora un bacino di domanda solido e reattivo. Chi pensa che il giornalismo digitale debba implicare per forza brevità, approssimazione e superficialità, sbaglia di grosso.

Quanto ai social media, secondo l’indagine del Pew Research Center è senz’altro Facebook il network che porta più visite, con un peso di circa l’80% sul totale dei click “social” degli articoli monitorati. Tuttavia, sono i lettori provenienti da Twitter ad aver mostrato maggiore propensione a spendere poi la propria attenzione nella lettura, con una media di circa 133 secondi di permanenza su pezzi long form e 58 sugli articoli brevi (molto meno coinvolti i lettori provenienti da Facebook, disposti a restare 107 secondi sugli articoli lunghi e 51 sui brevi).

Ultimo rilievo da sottolineare, il ciclo di vita degli articoli: corto, in entrambi i casi. La stragrande maggioranza delle interazioni, cioè dei click sui contenuti giornalistici monitorati, è avvenuta infatti nei primi due giorni di pubblicazione. Dalla carta all’on-line, dalla breaking news al reportage, ciò che dunque non cambia è la necessità di un giornalismo in grado di “leggere” il presente in presa diretta e raccontare gli avvenimenti calandoli nel contesto: una missione che richiede certo capacità di rigenerazione del prodotto sulle nuove piattaforme, ma anche, al tempo stesso, una visione solida e credibile, della realtà da raccontare, in grado di alimentare quel patto di fiducia con il lettore che è da sempre alla base di ogni iniziativa giornalistica, a prescindere dal supporto tecnologico.

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