“Il calcio in fin dei conti è fantasia, un cartone animato per adulti” diceva lo scrittore argentino Osvaldo Soriano. Ma per qualcuno, a volte, può essere anche una metafora della vita. Un’occasione per mettersi in gioco al di là del campo o della divisa, per imparare, assieme alle regole, a rapportarsi con gli altri. E’ con questo obiettivo, infatti, che nasce la scuola di calcio Renzo Cerè di Castel San Pietro Terme, in provincia di Bologna: per trasformare il pallone in uno strumento per aiutare i ragazzi con disabilità a integrarsi, a stringere amicizia, ad assaporare – forse per la prima volta – l’esperienza di fare parte di un gruppo. Unica in Italia nel suo genere, la scuola, inaugurata il 2 maggio scorso, fa parte del progetto Edu In-Formazione  dell’Associazione italiana allenatori di calcio (Aiac), che promuove l’avviamento al pallone per i ragazzi diversamente abili. E a settembre accoglierà una trentina di giovani iscritti, di un’età compresa tra i 6 e i 18 anni, che si alleneranno fianco a fianco con coetanei normodotati. “Chi soffre di una patologia come l’autismo o la sindrome di down spesso si sente solo, o è emarginato dagli altri – racconta Elenia Poli, psicologa e coordinatrice della parte operativa del progetto – noi invece includeremo questi ragazzi, li renderemo parte di un gruppo, introducendoli a uno sport che ha la propria forza nella squadra”.

In Italia di esperienze sportive per i ragazzi con disabilità ne sono state avviate diverse. Per quanto riguarda il calcio, l’Aiac ad esempio ha organizzato campus estivi presso la Totti Soccer School, il progetto “Calciando la disabilità” di Savignano sul Rubicone, il City campus di Ascoli Piceno. La particolarità della scuola Renzo Cerè, però, è che non è un’iniziativa da qualche giornata, né una divisione all’interno di una polisportiva per normodotati. “E’ un progetto pensato appositamente per giocatori diversamente abili – spiega Davide Bucci, presidente di Edu In-Formazione Bologna – a maggio incontreremo le famiglie per spiegare loro come funziona la scuola, e da settembre 2016 a giugno 2017 si svolgeranno le attività”. A seguire gli allievi uno staff di 14 operatori appositamente formati per aiutare i ragazzi, tra educatori, psicologi e allenatori certificati dall’Aiac, “perché a seconda della disabilità c’è bisogno di un tipo di attenzione diversa – spiega Poli – ad esempio, per ogni ragazzo autistico è bene avere un rapporto uno a uno con un assistente, mentre per chi ha la sindrome di down il rapporto può essere anche di due ragazzi per operatore”.

In campo, tuttavia, non si giocherà solo a calcio. “Il nostro scopo non è creare campioni, ma costruire, attraverso la palla, un nuovo tipo di linguaggio – racconta la psicologa – un modo, per i ragazzi, di comunicare con i compagni di squadra e gli allenatori. Non tutti sanno che per un ragazzo autistico, ad esempio, già fare parte di un gruppo è un traguardo molto importante, perché la patologia comporta una chiusura verso l’esterno, e la paura per tutto ciò che è relazione e rapporti interpersonali. Accettare il pallone passato da un compagno, quindi, rappresenta di per sé una vittoria: significa aprirsi alla vita, non averne timore”. La partita, perciò, è anche una forma di terapia: “E’ difficile dire quali benefici, se piccoli o grandi, comporterà per i ragazzi questa esperienza, perché ogni individuo è un mondo a sé stante. Sicuramente l’attenzione che riceveranno, il sostegno degli operatori e i rapporti che stringeranno con i compagni di squadra provocherà in loro un’apertura verso l’esterno molto importante”. E anche la presenza di allievi con patologie diverse, secondo la psicologa, avrà un’influenza positiva: “Di solito i progetti sportivi per ragazzi con disabilità tendono a tenere separate le patologie. Noi, invece, creeremo un gruppo misto, nel quale saranno inseriti anche ragazzi normodotati, perché speriamo che ciascuno di loro, pur con le proprie difficoltà, possa accorgersi che ci sono altri ragazzi con altri problemi, e quindi sentirsi meno solo. Anche in questo la scuola è innovativa”.

A cadenza settimanale, inoltre, gli operatori si incontreranno per parlare dei loro allievi e per fare formazione: “Noi vogliamo che i ragazzi si divertano – sottolinea Poli – ma lavoriamo per il loro benessere quindi per noi non è un gioco, o un semplice momento di sport”. L’esperienza di Castel San Pietro, poi, potrà anche essere esportata in altre città. “La scuola di calcio Renzo Cerè organizzerà corsi di formazione per allenatori che in futuro vorranno insegnare la disciplina a ragazzi con disabilità – spiega Giovanni Grassi, presidente dell’Aiac Bologna e allenatore di calcio Figc – è un modo per sensibilizzare sull’importanza dell’integrazione, e ricordare a tutti ciò che di bello può fare uno sport come il calcio”.

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