Eccolo, sei tornato. Ormai sei come Natale, Pasqua, la festa di Carnevale o Halloween. Ogni anno, a maggio, arrivi anche tu caro signor Invalsi. I miei insegnanti da qualche settimana hanno annunciato il tuo arrivo. Qualcuno ci ha fatto fare anche le “prove” per arrivare pronti all’appuntamento. Nessuno ci ha ben spiegato chi sei, a cosa servi, perché vuoi farci domande su italiano e matematica. Non abbiamo ben capito cosa te ne fai di tutti questi questionari. A dire il vero nemmeno mamma e papà hanno ancora compreso a cosa servono questi test che ogni anno facciamo. Non hanno mai neanche visto i risultati, i “voti”. “Vanno fatti”, dicono i maestri. E’ così. Punto. Su di te ci sono varie tesi: “Serve a vedere quanto sei preparato prima di andare alle medie o alle superiori”. Oppure qualcuno dice che “Sono utili per capire la qualità degli insegnanti”.

invalsi_pp_er

Lo scorso anno ho sbirciato il manuale del somministratore che aveva in mano il maestro e ho scoperto la verità: “La valutazione del sistema scolastico è da intendersi come un’infrastruttura stabile e consolidata che consenta di migliorare progressivamente i livelli di apprendimento nella scuola e, di conseguenza, le opportunità di sviluppo e di crescita dell’intero Paese. La rilevazione è guidata dalla duplice esigenza di migliorare, da un lato, l’efficacia della scuola per le fasce più deboli della popolazione scolastica e, dall’altro, di far emergere e diffondere le esperienze di eccellenza presenti nel Paese”. Bene, ho pensato, questo signore, vuole darci una mano. Mi sembra un’ottima idea vedere quali sono le scuole più in difficoltà e dare loro un aiuto, un contributo per migliorare. Ho capito un po’ meno perché per raggiungere questo obiettivo vieni a fare ogni anno dei test a noi bambini e ragazzi.

E se fossimo noi a fare qualche domanda a te? Tu lo sai, caro signor Invalsi, che in molte scuole non abbiamo nemmeno i soldi per comprare un vocabolario nuovo? Mi sai dire quante sono le scuole in Italia, soprattutto al sud, che non hanno il tempo pieno? Potresti spiegarci come mai in tante classi, in prima elementare, quando impariamo a leggere e scrivere abbiamo una sola maestra con 25 bambini tra i quali un dislessico, un autistico e magari un compagno che è appena arrivato in Italia e non parla una sola parola nella nostra lingua? Sai che secondo gli ultimi dati Istat, usufruisce del servizio di asilo nido comunale poco meno del 12% dei bimbi fra 0 e 2 anni? Sai che nella maggior parte delle nostre scuole non c’è una biblioteca e che quella nei nostri paesi, dove mettiamo piede una volta al mese, non ha i finanziamenti per acquistare nuovi testi?

Marco, che vive a Danisinni, uno dei quartieri al centro di Palermo tra i più poveri, quando torna da scuola non ha nessuno che lo aiuta a fare i compiti. Non solo: non ha i libri a casa per imparare a leggere veloce ma non ha nemmeno la libreria. E tu che fai, signor Invalsi, per Marco? Misurare i nostri livelli di apprendimento in italiano e matematica è come misurare la febbre ad un malato terminale di cancro.

Tu stesso nell’ultima sintesi disponibile (2015) delle rilevazioni sugli apprendimenti ammetti che la tua diagnosi è sempre la stessa: “Il pattern generale dei risultati 2015 desumibili per il campione è molto in linea con quanto già emerso nelle rilevazioni precedenti e con quanto noto dalle (meno dettagliatamente disponibili) rilevazioni internazionali. Le regioni del Mezzogiorno ottengono in generale risultati peggiori. Il ritardo del Mezzogiorno, già presente ai gradi iniziali, tende in generale ad ampliarsi lungo il percorso degli studi. Anche le regioni del Centro denotano un certo peggioramento della propri posizione relativa nel passaggio dalla scuola secondaria di primo grado a quella di secondo grado. In seconda superiore gli studenti del Nord-Ovest e del Nord-Est appaiono in vantaggio di una decina di punti rispetto al Centro, di circa 20-30 punti rispetto alle due macro-aree meridionali”.

Tu stesso dici: “E’ molto in linea con quanto già emerso nelle rilevazioni” del passato. E allora che serve dirci sempre le stesse cose? Diciamolo con franchezza: questo tipo di prova per valutare il sistema scolastico italiano non serve, è stantio, ha fatto il suo tempo. Se vogliamo capire come migliorare l’efficacia della scuola e far emergere le esperienze d’eccellenza (se questa è la finalità com’è scritto nel manuale del somministratore) dobbiamo fare un test Invalsi a chi dirige le nostre scuole.

Capita la malattia potremo continuare a monitorare il malato. Al contrario continueremo, come abbiamo fatto fino ad oggi, a spendere soldi per fare una diagnosi senza conoscere nulla del virus. E poi, caro Invalsi, tu vuoi misurare gli apprendimenti ma se Luigi sa scrivere e leggere bene, se conosce bene anche la grammatica e la geometria ma nessuno gli ha insegnato il rispetto, l’onestà, l’altruismo, noi avremo un ingegnere, un operaio, un sindaco che sa ma forse sarà disonesto e corrotto. Forse dovremmo iniziare a fare un test su quanto i nostri ragazzi sanno di “cittadinanza”, senso civico.

Articolo Precedente

Ricerca, governo: “Ecco 2,5 miliardi di investimenti”. Ma il piano è quello di Letta e i soldi sono già stanziati

next
Articolo Successivo

Università, quella dei manager vuol dire addio ai fannulloni accademici

next