Gli ultimi dati dell’Istat su chi un lavoro ce l’ha e chi ancora ancora ne è privo parlano di un miglioramento del problema. Ma il cardinal Bagnasco, giudicando dalle richieste di aiuto alle parrocchie, di miglioramenti non vede l’ombra. Poiché l’Istat e il cardinale sono entrambi rispettabili, abbiamo cercato la soluzione del contrasto nelle cifre dell’auditel, perché da quando le frequentiamo ci siamo accorti che se salgono i disoccupati cresce anche il numero degli spettatori, mentre quando l’occupazione tira i quattro soldi che arrivano in tasca vengono spesso usati per uscire la sera e darsi a cinema, pizze, pub e discoteche.

Leggendo come sono andati i numeri dell’auditel nell’aprile degli anni della crisi (a partire da quel 2011 in cui lo spread si portò via Berlusconi spianando la strada all’austerità di Monti e alla rottamazione della esistente sinistra) fino all’oggi (dopo la riforma delle pensioni, le politiche espansive di Mario Draghi, vari stimoli ai consumi iniziati con gli 80 euro famosi, e le diverse riforme strutturali in corso d’opera) ci si accorge che in effetti qualcosa si muove e che l’Istat tutti i torti non ce l’ha, perché gli spettatori serali dell’aprile 2016 sono al minimo rispetto ai precedenti cinque anni: il 3% in meno del lontano 2011 e addirittura il 7% (che per le dinamiche della platea auditel è una cifra assai cospicua) inferiori a quelli del 2013, l’anno in cui la crisi era al culmine (e in cui, va ricordato, venne eletto l’attuale Parlamento).

Ma, se si accantona la media nazionale e si guarda ai comportamenti delle singole regioni, troviamo andamenti molto differenziati: i salotti e i tinelli casalinghi si stanno svuotando di spettatori (dal -10% al -20%) innanzitutto in Piemonte, Lombardia e, sorpresissima, in Calabria e Molise; in altre regioni la flessione si aggira sulla media nazionale (Veneto, Marche, Lazio, Abruzzo, Campania e Sicilia), altrove il pubblico diminuisce sì, ma non in maniera sostanziale.

In sostanza, sembrano esserci zone in forte miglioramento e altre che stanno appena appena cominciando una convalescenza. E anche l’età ci mette del suo, perché chi sta fra 15 e i 44 anni in casa ci sta molto meno (e quindi sta fuori a spendere i soldi che prima non aveva) mentre i più anziani, specie se maschi e al di sopra dei 55 anni, sono ancora costretti agli arresti domiciliari davanti alla tv e, nei casi più gravi in fila alla Caritas all’ora del pasto.

Insomma, c’è chi la sta scampando ma sono ancora tanti quelli che se la passano male. E questo è, parola di auditel, quel che concilia le verità apparentemente contrastanti dell’Istat e del Cardinale.

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