È stato dato alle stampe un lavoro importante, Some Like It Liric, che mette in scena l’incontro tra due grandi artisti, apparentemente molto lontani tra loro. Proviamo a raccontarvelo. Prendete una cantante di fama internazionale, proveniente dal non troppo flessibile mondo della lirica, dell’opera. Un mondo, quello, in cui si fanno i conti con canoni classici, un po’ cristallizzati, e che vede alle fusioni, alle commistioni, in genere, con non poco sospetto. Prendete una cantante lirica di fama internazionale e fatela incontrare con un musicista jazz di fama internazionale, un sassofonista, sax alto e soprano, che in passato ha flirtato anche col pop, certo, ma che ha nel suo essere un asso del jazz la sua cifra principale. Anche il jazz, a orecchi inesperti, o a orecchi poco affini, può assolutamente risultare un genere cristallizzato, che si è incartato in canoni classici, poco avvezzi alle fusioni. Ma questo sarebbe un discorso troppo lungo da affrontare en passant.

Nei fatti, la cantante lirica e il musicista jazz si incontrano, si annusano, termine forse un po’ troppo fisico per descrivere l’arte, prendono le rispettive misure e decidono di fare musica, quello che in fondo è il loro modo di esprimersi. E lo fanno incontrandosi in un terreno che sta a metà strada tra i loro mondi. Trattandosi di lirica e jazz, la metà strada in questione sta, teoricamente, in quella landa piuttosto ampia che si trova tra l’Oceano Pacifico e il Mediterraneo. In realtà Some Like It Liric dimostra come le gabbie, i canoni, o come vi piace chiamarli, non sono così chiusi come agli appassionati piace pensare.

Diciamo che Some Like It Liric ci fa gettare uno sguardo oltre la matrice, tanto per buttare sul tavolo, come paragone, la saga creata dagli assai poco canonici fratelli, oggi sorelle, Watchowski. Sì, Some Like It Liric, album nato dalla collaboratrice dal soprano di fama internazionale Madelyn Renée e Jacopo Jacopetti, sassofonista jazz già al fianco anche di tanti artisti noti del panorama nazionale, Ornella Vanoni e Matia Bazar su tutti, e internazionali, è una sorta di viaggio in un mondo parallelo. Un mondo che, probabilmente, si riuscisse a abbattere certi rigidi schemi mentali, potrebbe esistere sempre. Reinterpretare in chiave jazz arie e melodie provenienti dal mondo dell’opera è gesto ardito, ma che produce un effetto sofisticato e piacevolissimo. Una sorta di corto circuito artistico, che evidenzia come giocare con le regole, ridisegnandole, a volte, possa mostrare dettagli che ci erano sfuggiti.

Queste, però, sono congetture, analisi, critiche. Nei fatti, e qui sta la magia della musica, le melodie riprese dalla Renée e da Jacopetti parlano abbondantemente da sole. Sicuramente è più la Renée a essersi messa in gioco, perché è lei che ha visto il suo repertorio, dal classico E lucevan le stelle a Una furtiva lacrima, cambiare forma, rallentare il ritmo, spogliarsi di suoni, solitamente decisamente più corposi nell’opera, è lei che ha in qualche modo imbastito duetti, perché di questo si tratta, con un sax jazz, quindi decidendo di giocare meno con l’estensione e più con il timbro, sporcandosi. Un’operazione alta, certo, ma molto riuscita. Ottimo modo per approcciare i due generi.

Adesso, però, sarebbe il caso di azzardare ancora di più, e, come in passato ha fatto proprio Pavarotti, con cui la Renée ha collaborato a lungo, spostare sul piano pop questo gioco. Ma non alla Bocelli, che del resto non è un cantante lirico, ma uno wannabe, provando a sporcare ulteriormente la propria voce e la propria arte e andando a forzare canoni più recenti ma non per questo meno rigidi. Per cultori, ma anche per curiosi.

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