Annunci e previsioni si rincorrono da anni. Ma vengono puntualmente smentiti: per ora la bolla immobiliare cinese non è scoppiata. Questo non significa che il mattone del gigante asiatico non presenti elementi di criticità e che le profezie non si avvereranno, prima o poi. Ovviamente la questione non è di poco conto. Un crollo dell’immobiliare avrebbe effetti gravi per l’economia cinese, come per qualsiasi altra. Nella storia, infatti, le bolle legate al mattone si sono dimostrate le più gravide di conseguenze nefaste e quelle con i postumi più lunghi e dolorosi da smaltire. Il quadro della Cina è però è molto più complicato rispetto a quello che potrebbe far supporre una frettolosa lettura dei dati sull’andamento dei prezzi di case e terreni.

Anche in questo caso, peraltro, non manca qualche dubbio sull’attendibilità delle rilevazioni ufficiali che secondo gli osservatori più attenti tendono a sottostimare la crescita dei prezzi dell’ultimo decennio. Uno studio della Federal Reserve di St. Louis sottolinea come nell’ultimo decennio i prezzi reali (ossia depurati dall’effetto inflazione) delle abitazioni nelle principali città cinesi siano cresciuti del 17% annuo a fronte di un incremento del prodotto interno lordo di circa il 10%. Inoltre nei centri urbani il tasso di abitazioni vuote avrebbe raggiunto il 22,4%. Una quota estremamente elevata che si confronta ad esempio con un tasso del 3% registrato durante il picco della bolla immobiliare statunitense, intorno al 2006. Sono entrambi segnali che potrebbero essere interpretati come segnali di un eccessivo surriscaldamento del mercato. Ma ci sono parecchi però.

Le condizioni per accedere a un mutuo in Cina sono ad esempio piuttosto stringenti e almeno il 30% del prezzo d’acquisto dev’essere coperto “cash”. Questo fa si che il settore abitativo si sia sviluppato relativamente poco “a debito”. Per intenderci siamo molto lontani dalla situazione statunitense pre-2008 in cui si concedevano mutui a chiunque compresi richiedenti senza impiego o altre forme di reddito. La Cina ha senza dubbio un problema di indebitamento (il debito privato in rapporto al Pil è cresciuto del 75% tra il 2009 e il 2014) ma non è nell’immobiliare che si registrano le maggiori criticità. L’acquisto della casa è stato fortemente sostenuto dalle autorità di Pechino con programmi di housing sociale e oggi quasi il 90% dei cinesi è proprietario della casa che occupa. Un tasso tra i più elevati al mondo. Questo è stato il principale motore della crescita delle quotazioni dell’ultimo decennio.

Giuliano Noci, prorettore del Polo territoriale cinese del Politecnico di Milano, non ritiene che si assisterà a un rovinoso scoppio di una bolla immobiliare. “In Cina si è costruito molto, sia sul fronte abitativo che su quello commerciale – spiega Noci – e senza dubbio il paese si trova a fronteggiare un eccesso di offerta sul mercato”. Tuttavia, continua Noci, “il governo ha messo in atto una serie di misure, agevolazioni, incentivi e semplificazioni per sostenere la domanda. Il risultato è che a fronte di un calo sensibile dei prezzi (-14% nel 2014 e -15% nel 2015) gli acquisti di abitazioni lo scorso anno ha registrato un incremento del 18%”. L’immobiliare è senza dubbio in frenata quindi ma lontano da un’implosione. Molto dipenderà dalla capacità del governo di gestire questa fase di smaltimento dell’eccesso di offerta senza eccessivi scossoni. In prospettiva anche l’abbandono della politica del figlio unico e l’afflusso di cinesi dalle campagne alla città che non si è ancora esaurito contribuiranno a sostenere il settore. Il docente del Politecnico sottolinea inoltre come “la situazione sia molto più frastagliata di quanto si possa pensare. Il valore degli uffici ad esempio è in crescita mentre la situazione più delicata è quella degli spazi commerciali. Più in generale il calo dei prezzi riguarda soprattutto le città del Nord Est piuttosto che i grossi centri come Pechino o Shanghai”.

Sinora la speculazione sembra avere avuto un ruolo relativamente contenuto nello spingere le quotazioni. A comprare case, anche come investimento, sono soprattutto famiglie. Secondo alcune stime appena il 10% degli acquisti riguarda investitori di altra natura. Non è però detto che questa situazione non possa rapidamente cambiare. Qualora altri tipi di investimento, come la Borsa, perdessero appeal, l’immobiliare potrebbe diventare una valvola di sfogo per capitali in cerca di rendimenti. Nel 2013, ultimo dato disponibile, 2.249 aziende quotate cinesi appartenenti a settori diversi dal real estate avevano possedimenti immobiliari per un ammontare pari al 15% dei loro attivi. Una quota rimasta sostanzialmente stabile negli ultimi anni. Se le imprese dovessero però puntare in modo più deciso su abitazioni, uffici e terreni, alimentando così una bolla, al momento dello scoppio potrebbe presentarsi una situazione che in qualche modo ricorda quanto avvenuto in Giappone negli anni ’90. Imprese con forti investimenti nel real estate costrette a tamponare le perdite dovute al crollo dei valori degli asset a scapito di investimenti e crescita. Una situazione che neppure politiche monetarie ultra espansive sono riuscite a correggere se non dopo decenni di dolorosa stagnazione.

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