L’elenco dei padri del ciclo di gestione rifiuti dell’Ato Toscana Sud non può non contenere i nomi di Fabrizio Vigni e Lorenzo Rosi. Il primo assomma i ruoli politici di rilievo nel senese – terra promotrice del raggruppamento d’imprese che ha fatto nascere Sei – con le conoscenze nel settore acquisite quando, da parlamentare nei primi anni duemila, è stato membro della Commissione ambiente della Camera. In quanto tale, ha partecipato alla Commissione d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti. L’ultimo presidente di Etruria, invece, prima ancora di approdare in banca ha potuto studiare il settore dell’immondizia almeno in due occasioni. Innanzitutto quando è stato consigliere del gestore del piano provinciale dei rifiuti Sienambiente, perno sul quale è nata Sei. E poi quando è stato presidente di Società Toscana Ambiente, Sta, cioè il primo azionista privato di Sei (il secondo è Sienambiente), negli anni in cui veniva fatto il bando e assegnato l’appalto. Non solo. Rosi, nonostante le sue origini democristiane, è stato per vent’anni ai vertici della Castelnuovese, la cooperativa ‘rossa’, aderente alla Legacoop, che figura tra i principali azionisti di Sta e quindi di Sei. Oltre ad essere nel mirino degli inquirenti aretini per i prestiti ricevuti da Banca Etruria quando lo stesso Rosi ne era presidente.

Intrecci societari e gestione dei rifiuti

Anche alla luce del ruolo giocato dall’ex consigliere dell’istituto Luciano Nataloni – il suo studio ha scritto il bando di gara – oltre che dal suo ex socio, Eros Organni, poi diventato amministratore delegato di Sei, non è peregrino ricondurre alla cerchia di Rosi e Vigni l’idea portante del sistema. Il disegno è ben riassunto in assemblea di Ato il 30 giugno 2014 dal sindaco di Siena Bruno Valentini: “Abbiamo voluto garantirci il controllo degli impianti separando le società che gestiscono gli impianti dalle società che gestiscono il servizio. Quindi abbiamo intanto duplicato i costi e le procedure di funzionamento perché c’è una società a maggioranza pubblica che gestisce gli impianti e una società a maggioranza pubblica che gestisce il servizio”.

Al di là della visione di Valentini, entrando nel dettaglio della struttura del ciclo dei rifiuti toscani, sul fronte pubblico nel soggetto controllore la parte del leone la fanno i comuni sede di impianto, che hanno le quote maggiori dell’Ato e percepiscono la relativa indennità di disagio ambientale (Ida). Quindi gli enti nella provincia di Arezzo controllano quasi il 30% dell’Ato e incassano un’Ida che nel 2015 ha sfiorato il milione e ottocentomila euro lordi. Considerando invece gli azionisti in ordine di peso individuale, i cinque comuni sede dei più importanti impianti dell’Ato – nell’ordine Terranuova Bracciolini, Arezzo, Asciano, Grosseto e Poggibonsi – insieme controllano la maggioranza assoluta delle assemblee (52,58%). Dove è stato approvato il capitolato d’appalto che ha previsto anche l’obbligo, per il vincitore, di versare ai suoi predecessori un importo non inferiore a 10,5 milioni di euro a rimborso dei crediti pregressi della tariffa TIA. Da capire come poi i comuni avrebbero rimborsato il gestore.

La provincia senese, tallonata da quella aretina, domina invece nella compagine pubblica del Gestore unico Sei, cui è stata delegata la raccolta dei rifiuti, spesso insieme ad altri servizi come la riscossione della Tari. Il primo socio privato è invece una società fiorentina, la Sta, che fa capo a Banca Etruria e a una holding compartecipata dalla cooperativa Unieco di Reggio Emilia e dalla Castelnuovese. Insieme alla municipalizzata senese Sienambiente, che è anche un debitore di Banca Etruria, Sta controlla il 51,3% del Gestore del servizio. Non solo. La società delle due coop e di Banca Etruria ha quote rilevanti anche nei singoli gestori degli impianti dell’Ato dove si ritrovano molti dei soci pubblici di Sei insieme allo stesso Gestore Unico. Con due vistose eccezioni in cui Sta ha un peso particolarmente ingombrante. Il primo è il gestore dell’impianto di selezione di Casa Rota a Terranuova Bracciolini di cui Sta ha in mano quasi il 60 per cento. Il secondo è quello delle Strillaie a Grosseto che è in concessione a Futura spa. Entrambe le concessionarie degli impianti tra il 2010 e il 2014 hanno visto i loro conti migliorare costantemente. Ma per Futura il progresso è più evidente, visto il ritorno all’utile nel 2014 dopo quattro anni di rosso.

Sarà forse anche per questo che ora Sei, come riferisce Il Tirreno, sta valutando l’acquisto di Scarlino Energia, società travagliata e finita in concordato, dopo che ne era stato chiesto il fallimento sotto il peso di quasi 65 milioni di euro di debiti. Una cifra che spaventa i comuni dissenzienti con l’Ato che temono di dover far pagare l’operazione ai contribuenti tramite un ulteriore rincaro delle già salatissime bollette. “Sei può fare quello che vuole, ma non è che quell’investimento viene messo in tariffa – commenta il direttore dell’Ato Andrea Corti – La tariffa non può pagare investimenti fatti su iniziativa privata, non è possibile. Altra cosa sarebbe se l’Ato decidesse che Scarlino Energia è impianto di ambito, ma questo non è dentro la pianificazione. Sarebbe anche impossibile sotto il profilo pianificatorio perché il piano regionale dice che il conferimento massimo è del 20%”.

Quel che sembra certo, poi, è che se la compravendita andasse in porto azionisti di Scarlino soci anche di Sei, come Sta e Sienambiente che hanno dato le quote della società dell’inceneritore in pegno al Monte dei Paschi di Siena, tirerebbero invece un sospiro di sollievo. Nel 2014, infatti, soltanto Sienambiente ha dovuto svalutare la partecipazione in Scarlino Energia per circa 1.293.000 euro, sbiadendo risultati di bilancio che, alla luce del primo anno di attività di Sei, sono stati “in termini percentuali significativamente più alti degli anni precedenti“. Parola del presidente Fabrizio Vigni, fresco di dimissioni anche dai vertici di Sei (“per coerenza con i miei principi”) in seguito all’apertura dell’inchiesta della procura fiorentina.

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