Una caccia al tesoro, per un bottino dal valore inestimabile, è in corso tra la Moldavia e l’Ucraina. Da oltre un mese due carabinieri e due poliziotti sono alla ricerca dei dipinti rubati al museo di Castelvecchio, nel centro storico di Verona, la sera del 19 novembre 2015. Si tratta di diciassette opere come la Madonna della quaglia di Antonio Pisano detto Pisanello, alcune tavole e tele di Bellini, Mantegna, Rubens, di Tintoretto o dei suoi allievi e altri ancora. “Un danno patrimoniale inestimabile e comunque non inferiore ai 17 milioni di euro”, si legge nel decreto dei tredici fermi del 15 marzo scorso, atto firmato dal sostituto procuratore di Verona Gennaro Ottaviano che coordina l’inchiesta della squadra mobile scaligera, dello Sco della polizia e dei carabinieri del reparto operativo del nucleo “Tutela patrimonio culturale”.

Gli arresti, l’epopea e il “silenzio tombale” – I presunti responsabili sono finiti in manette, ma è stato impossibile tornare in possesso delle opere. È così cominciata la ricerca e, come ogni caccia al tesoro che si rispetti, gli ostacoli non mancano. I quattro investigatori italiani si muovono su un terreno straniero al seguito dei colleghi moldavi e di quelli ucraini per individuare le opere e riportarle in Italia, ma l’Ucraina è uno Stato allo sbando e per i due latitanti, sfuggiti agli arresti, è facile nascondersi.

Per questa ragione il 28 aprile alla sede dell’Eurojust all’Aia (Olanda) il pm, insieme al capo della squadra mobile Roberto Di Benedetto e al comandante del reparto operativo “Tpc” Antonio Coppola, incontreranno la procura generale ucraina e la polizia giudiziaria per chiedere una maggiore collaborazione. All’origine di questa caccia al tesoro c’è un furto su cui, come denunciavano a dicembre alcuni critici d’arte tra cui Salvatore Settis e Tomaso Montanari, era calato un “silenzio tombale”. Non è stato un furto da manuale, ma un saccheggio.

Il saccheggio e l’aiuto della guardia giurata – “Non sono esperti del settore”, commenta il colonnello Coppola. Banditi normali, con precedenti per furti comuni, ma mai di opere d’arte, un ambito dove bisogna avere delle conoscenze nel settore del mercato nero. Loro avevano una conoscenza, diversa ma molto utile: erano in contatto con la guardia giurata del museo di Castelvecchio. La sera del 19 novembre scorso alle 19.33 due uomini entrano nel museo da un ingresso secondario, legano mani e piedi alla custode e alla guardia giurata di Securitalia, Francesco Silvestri, entrata in servizio da poco. Uno dei due indossa la giacca del vigilante, fa uscire gli ultimi visitatori e poi, all’arrivo di un terzo complice, iniziano a prendere le opere per caricarle sull’auto della guardia che, diversamente dal solito, aveva i sedili posteriori abbassati e il serbatoio quasi pieno, come fosse pronta per la fuga. Lavorano in tutta calma, ci mettono 75 minuti, poi scappano con l’auto di Silvestri, ritrovata a Brescia. L’allarme del museo non scatta e solo dopo le 21 la questura scopre il furto.

Tutti i sentieri portano in Est Europa –  Parte la ricerca e vengono percorsi i sentieri tradizionali: “Abbiamo battuto tutti quelli che sono nel settore, soprattutto ladri, ricettatori e mediatori del Nord Est. Abbiamo capito che gli autori erano estranei all’ambiente”, dice Coppola. È l’analisi dei filmati e dei dati telefonici a metterli sulla pista giusta. Le immagini rivelano il trattamento di favore al vigilante da parte dei rapinatori e la sua collaborazione all’interno del museo, elementi che contraddicono quanto detto da lui.

Incrociando con le utenze agganciate alla cella di Castelvecchio e a quella della zona di Brescia dov’è stata ritrovata l’auto, emerge un numero, quello del moldavo Vasile Mihailov, figura centrale della “batteria” di rapinatori. Dai suoi tabulati, poi, si scoprono le telefonate con Pasquale Ricciardi Silvestri, fratello gemello del vigilante. L’analisi dei dati rivela il coinvolgimento della compagna della guardia giurata, l’ucraina Svitlana Tkachuk, e le intercettazioni fanno il resto rivelando il coinvolgimento di altri moldavi. Tra questi ultimi due sono ricercati dalle autorità moldave per spaccio e si nasconderebbero spesso in Ucraina.

Stando alle intercettazioni il bottino era destinato a Odessa, città portuale ucraina da cui doveva poi partire per la Moldavia, dove a marzo sono stati presi otto dei tredici arrestati. In questo ultimo Stato, e precisamente nella Transnistria, regione indipendentista non riconosciuta dall’Onu, dovevano andare la Tkachuk e Ricciardi Silvestri per recuperare del denaro da riportare in Italia a bordo di un pullman, per evitare i controlli alla frontiera, perché “con l’autobus che ti fanno!?”, come dice la donna all’uomo.

Le targhe sui muri: “Opera trafugata” – Per gli inquirenti parlavano dei proventi della vendita delle opere. “Quasi certamente i dipinti sono arrivati in Ucraina – spiega il colonnello Coppola –. Da lì poi i due latitanti sfuggiti alla cattura potrebbero averli portati in Moldavia”. Secondo gli investigatori non sarà facile per i banditi in fuga rivendere quelle opere in assenza di un committente del furto: “Nessun collezionista, per quanto avido, le comprerebbe mai. Si sa che sono opere rubate”.

Resta però un timore: “Più passa il tempo, più diventa difficile recuperare le opere. Potrebbero essere nascoste, cedute o peggio distrutte”, conclude il colonnello Coppola. Intanto sulle pareti delle sale del castello al centro di Verona restano degli aloni a malapena coperti da pannelli rossi con la riproduzione dei dipinti e la dicitura: “Opera trafugata il 19 novembre 2015”.

da Il Fatto Quotidiano del 25 aprile 2016

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