Partiamo da un assunto: la comicità in tv non funziona più. O almeno non funziona più come un tempo. Ricordate gli anni d’oro di Zelig, che faceva ascolti mostruosi su Canale5? Ecco, dimentichiamoli, perché qualcosa è cambiato, nel rapporto tra spettatori televisivi e comicità.

Basti pensare che uno dei pochi baluardi rimasti in palinsesto, e persino con un certo relativo successo, è Made in Sud, una sorta di Zelig in salsa napoletana in onda su RaiDue e condotto da Gigi e Ross, Elisabetta Gregoraci e Fatima Trotta.

Bisogna dire che Made in Sud si è guadagnato la prima serata a colpi di share: da poche centinaia di migliaia di spettatori a tarda notte agli oltre due milioni (e uno share che ha toccato persino il 13%) in prima serata. Bene, bravi, bis.

Ma che comicità è, quella veicolata dal programma di RaiDue? Meridionale assai (e infatti il pubblico vive in larga parte al Sud), di troppo facile fruizione, già sentita mille volte, priva di qualsiasi intento sperimentale o anche solo vagamente innovatore. È robetta da cabaret di provincia. E non si offendano i cabaret di provincia, degnissimi incubatori di comicità, ma la comicità negli ultimi anni è cambiata tantissimo a livello globale, con l’arrivo anche dalle nostre parti della stand-up comedy e di un approccio alla risata molto più originale, ricercato, politicamente scorretto.

In Italia abbiamo Saverio Raimondo, talento così cristallino e corrosivo da non riuscire a trovare lo spazio che meriterebbe sulla tv generalista. Per fortuna ci sono i canali tematici e satellitari, e Raimondo conduce il suo show su Comedy Central.

Comicità volgarotta, semplice semplice, così elementare da andare bene anche per chi non è dotato di pollice opponibile. Made in Sud però ha un discreto successo, considerando anche il momento di vacche rachitiche. Come mai? È presto detto: il paese reale, quello che esiste davvero, non la proiezione fantasiosa che ci costruiamo mentalmente bazzicando i social, ama quella comicità lì. “Get over it”, direbbero in inglese. “Stacce”, risponderebbe un trasteverino. Facciamocene una ragione, dunque. Ci sono orde di ragazzotti un po’ tamarri, un po’ troppo disimpegnati, che vogliono il tormentone, la frasetta scema da usare h24 con gli amici o sui social. Vogliono la parolaccia, l’ammiccamento pecoreccio. La satira politica non tira più (resiste solo Crozza, Dio lo conservi), i balletti “zinnosi” alla Bagaglino non interessano più a nessuno (c’è internet, per togliersi certi sfizi). Made in Sud, così come Colorado su Italia1, si sono inseriti in questo enorme vuoto comico in televisione, accontentandosi di racimolare le briciole del banchetto luculliano di un tempo per tirare a campare più che dignitosamente. Innovazione? Per carità, qua “teniamo famiglia”. L’importante è portare a casa un risultato decente che ci permetta di riproporre il programma la stagione successiva.

Made in Sud parla alla pancia di un pubblico reale, che esiste e chiede esattamente quello. E qui si apre il solito tormento interiore del critico: avrà mica ragione il facilmente accontentabile pubblico e torto marcio noi? Spesso è proprio così, ma non stavolta. Perché va bene assecondare le richieste dell’utente, ma l’offerta deve anche riuscire a orientare la domanda, a migliorarla, a raffinare i gusti di un pubblico che, di sua sponte, non si sforzerà mai più di tanto, perché giustamente in tv cerca quel tipo di svago e comicità che spegne il cervello. Tocca ai canali televisivi, dunque, inserire piano piano elementi di comicità nuova, realmente controcorrente, magari che faccia anche riflettere. C’ha provato RaiTre con Nemico pubblico del bravissimo Giorgio Montanini.

C’ha provato persino RaiUno quando ha scelto Saverio Raimondo come conduttore di un Dopofestival di Sanremo andato in onda, però, solo sul web. Tentativi una tantum, senza un disegno coerente e di lungo periodo. E allora ci tocca sopportare Made in Sud, le battute telefonate che riuscirebbe a intuire prima anche un bambino di 4 anni, i balletti delle “suddine”, i siparietti tra conduttori e cabarettisti. È il pubblico che lo chiede? Nì. Perché il pubblico guarda quello che c’è, e se c’è solo quello…

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