Dal 2002 all’estate del 2015 il comune di Roma ha speso circa 27 milioni di euro per la scolarizzazione dei minori presenti negli insediamenti formali della capitale in un numero compreso tra le 500 e le 2.000 unità. Un velo omertoso è stato steso dalle diverse amministrazioni che si sono succedute sul “Progetto Scolarizzazione Rom di Roma Capitale” con il risultato che, nel corso dei 13 anni, non sono state mai condotte azioni di monitoraggio, analisi di valutazione dei risultati, indagini sulla qualità degli interventi. Il 27 aprile l’Associazione 21 luglio intende strappare il velo, fare verità sui risultati raggiunti ed indicare le responsabilità. Lo farà presentando, presso la sede dell’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali della Presidenza del Consiglio dei Ministri, il rapporto “Ultimo banco”, un’accurata analisi dei progetti di scolarizzazione rivolti ai minori rom a Roma con uno specifico focus nel periodo 2009-2015.

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Impietosi i risultati nel periodo preso in considerazione: tra coloro che sono iscritti a scuola, 1 minore rom su 5 non si è mai presentato in classe; sulla media dei 1.800 bambini rom iscritti a scuola, solo 198 hanno frequentato almeno i tre quarti dell’orario scolastico; 9 minori rom su 10 non hanno frequentato con regolarità e, secondo la legge, non sarebbero dovuti essere ammessi allo scrutinio di fine anno scolastico; 1 minore rom su 2 è in ritardo scolastico e frequenta quindi una classe non conforme all’età anagrafica; quasi 1 minore rom su 5 evade l’obbligo scolastico.

Se poi la lente si punta sull’ultimo anno scolastico, quello 2014-2015, si scopre una frequenza regolare media del 12%. Davanti all’inequivocabilità di questi dati il comune di Roma ha sempre risposto con numeri diversi, riuscendo nell’impresa di adoperare, solo ed esclusivamente per i minori rom, parametri diversi con il risultato di offrire dati distorti. Non è un caso se, sia gli amministratori che gli enti addetti alla scolarizzazione, indicassero sino ad oggi una frequenza media superiore al 55%. Parametri “taroccati” per risultati “taroccati”. Non lo sono invece i milioni di euro spesi e confluiti, attraverso bandi, proroghe ed estensioni ripetute, alle quattro organizzazioni che ininterrottamente, dal 2009 al 2015, sono sempre state le stesse.

Sicuramente l’insuccesso delle politiche di scolarizzazione rivolte ai bambini rom risente di responsabilità condivise: dell’impianto della politica stessa, delle competenze e delle risorse di cui hanno potuto disporre gli enti affidatari del progetto, della risposta da parte dei minori rom, del loro background socio economico, del grado di istruzione dei genitori, dell’ambiente della classe, del comportamento degli insegnanti, delle politiche abitative e di sgombero. Vivere in una baraccopoli, dal carattere più o meno istituzionale, ma sempre fortemente segregativo, segna dall’inizio qualsiasi processo scolastico. Il bambino della baraccopoli è un bambino “a parte”: non dispone di servizi igienici adeguati e di spazi di studio per i compiti; quasi sempre i suoi genitori sono privi di strumenti e capacità per sostenerlo nello svolgimento dello studio; il trasporto scolastico – effettuato con mezzi riservati ai minori delle baraccopoli – è riconosciuto istituzionalmente insufficiente tanto che l’alunno rom è giustificato ad entrare anche un’ora dopo dall’inizio delle lezioni e ad uscire anticipatamente.

Anche il corpo docente non sembra disporre degli strumenti migliori per offrire risposte. Spesso all’interno della classe si ricorre a programmi differenziati che condannano l’alunno rom ad un accumulo del ritardo scolastico destinato ad incrementare negli anni successivi. La conseguenza è che tra i genitori rom è in aumento la diffidenza verso l’istituzione scolastica nei confronti della quale si nutre sfiducia, facendo prevalere l’idea dell’inutilità dello studio. Da questo punto di vista il ruolo degli enti affidatari, che sarebbe dovuto essere quello di creare un ponte tra scuola e famiglia, ha avuto spesso un effetto contrario, promuovendo la delega totale. Ma alla base di tutto, gli impietosi numeri della ricerca rivelano il fallimento di una politica abitativa segregazionista, condotta su base etnica, dispendiosa e lesiva dei diritti fondamentali. E’ dal superamento delle baraccopoli romane che bisogna ripartire; con urgenza e la consapevolezza che non ci è più consentito continuare a far nascere e crescere sulla strada un’infanzia alla quale si è rubato il futuro.

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