Aleksandar Vucic e il Partito del progresso serbo (Sns, conservatore moderato) trionfano nelle elezioni politiche anticipate in Serbia con percentuali stellari, oscillanti fra il 52% e il 56%. L’estrema destra antieuropeista e filorussa dell’ultranazionalista Vojislav Seselj torna alla grande in Parlamento dopo otto anni di esilio, senza tuttavia fare l’exploit temuto, perché il Partito socialista (Sps) del ministro degli esteri Ivica Dacic si conferma seconda forza nel Paese. Tutti gli altri partiti lottano invece per superare lo sbarramento del 5%. E’ questa la fotografia delle prime proiezioni sul voto odierno nel paese balcanico, che confermano le previsioni dei sondaggi della vigilia.

Secondo il CeSID – Centro per le libere elezioni e la democrazia, all’Sns del premier sarebbe andato il 56,2% dei consensi, all’Sps il 10,9%, all’Srs il 7,3% al Partito democratico (ds) il 5,7%. Percentuali analoghe, che sono anch’esse del tutto preliminari, sono state diffuse dal sito online del quotidiano belgradese Blic, che assegna il 51% all’Sns di Vucic, il 10,8% ai socialisti Sps, l’8,9% all’estrema destra di Seselj. Per Blic entrano in parlamento anche il Partito democratico Ds con il 6,2%, la coalizione di destra Dveri-Dss con il 5,9% e un’alleanza a tre di cui fa parte l’ex presidente Boris Tadic con il 5,5%. Anche I primi dati diffusi in serata dalla commissione elettorale centrale confermano tale scenario, con l’Sns oltre il 55%, l’Sps all’11% e l’Srs di Seselj al 7,7%. L’affleunza, sempre secondo I primi dati, sarebbe stata intorno al 55%-57%, superiore alle precdenti politiche del 2014.

Se i risultati dovessero essere confermati, il premier Vucic – un ex radicale di destra e alleato di Seselj convertitosi su posizioni più moderate e europeiste – rafforzerebbe notevolmente la sua posizione a favore delle riforme, della modernizzazione e dell’integrazione europea della Serbia. Un corso politico che gli è valso elogi e ammirazione in tutte le cancellerie europee, e anche da parte dell’amministrazione statunitense.

“Se vinceremo le elezioni la Serbia proseguirà sulla strada dell’integrazione nella Ue avvicinandosi agli standard di vita europei”, ha detto Vucic subito dopo aver votato al suo seggio di Belgrado. “Se non vinceremo ci congratuleremo con i nostri avversari e non cercheremo scuse o alibi”, ha aggiunto. Sembra però che dovranno essere gli altri a congratularsi con lui.

Grande risultato anche per l’estrema destra anti-Ue e filorussa rappresentata da Vojislav Seselj, l’ultranazionalista che ha ottenuto un forte impulso di popolarità dalla recente assoluzione dalle accuse di crimini di guerra al Tribunale penale internazionale dell’Aja (Tpi). Il suo Partito radicale serbo (Srs) fa ritorno in parlamento con percentuali oscillanti fra il 7% e il 9%, e si pone come terza forza del paese dopo l’Sns di Vucic e i socialisti di Dacic. L’Srs, che Seselj ha continuato a guidare anche durante la sua detenzione nel carcere del Tpi all’Aja, era stato l’ultima volta in parlamento nel 2008, prima della scissione e la creazione dell’Sns da parte di Vucic e dell’attuale presidente serbo Tomislav Nikolic.

Otto anni fa il partito di Seselj aveva il 29,4%. Seselj tuttavia, pur ottenendo un grande risultato, non fa l’exploit che in molti temevano e si ferma sulle percentuali pronosticate dai sondaggi della vigilia. Il leader ultranazionalista aveva invitato a fare del voto odierno un autentico referendum sulla scelta fra una Ue ostile e contraria agli interessi della Serbia e la Russia, unica vera nazione amica del popolo serbo.

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