Ma quanto è bello andare in giro con le ali sotto ai piedi se hai una Vespa Special che ti toglie i problemi”. Cesare Cremonini quando ancora se ne stava coi Lunapop la immortalò così. Maggio 1999, top ten e disco di platino in pochi mesi. Tutti a canticchiare la spensieratezza della gita sui colli bolognesi, un must tardo adolescenziale, e non solo, con il “vespino” che ricorda proprio quelle prime immagini in bianco e nero della Vespa che plana sul mercato dei motori in piena rinascita post bellica, con le coppiette, lei di taglio come passeggero, lui al manubrio come un novello pilota, a far la gita al mare o perfino sui monti, sci dritti appoggiati tra le gambe, rigorosamente con il contachilometri sotto i 60 orari.

23 aprile 1946 il gioiellino di Enrico Piaggio, cilindrata di 98 cm cubi, motore a due tempi, tre marce, può essere acquistato attorno ad una cifra di 68mila lire. Costo non proprio irrisorio, ma che con la modalità delle rate diventa subito alla portata di tutti. 48 esemplari su 50 vengono venduti in pochi giorni. Piaggio avvia subito un secondo stock da 2500 pezzi e in pochi mesi lo scooter che non sporca i pantaloni decolla. Nel 1953 la vendita tocca i 500mila esemplari, nel 1956 si arriva al milione. Numeri mostruosi per l’epoca. Quando ancora nel 1961 non c’erano un vero mercato comune, o la globalizzazione dei prodotti, stabilimenti Vespa sorgono in Spagna, Belgio, Germania, Inghilterra, perfino in Brasile e India. In Unione Sovietica provano pure a copiarla senza successo.

Il “motorino” italiano nato oltre il concetto di tempo, indifferente alla moda, è uno di quei rari casi di funzionalità coniugata alla bellezza che non indietreggia o non viene dimenticato col passare dei decenni. Un brand industriale che conquista il pianeta. La Vespa piace a tutti. Perfino al MoMA di New York che ne ha piazzato un esemplare della serie GS 150 (1955), rigorosamente grigio, tra le sue stanze. E dire che a Corradino D’Ascanio, l’inventore pratico di motore e linea estetica, piaceva andare in automobile e soprattutto in aereo. L’idea di uno scooter che sopravanza la motoretta per comodità e impatto visivo è il primo obiettivo di un signore che pare tenesse sempre in mano qualche oggetto meccanico da smontare e rimontare, come fosse un rosario o un cubo di Rubik.

D’Ascanio, imbeccato dalle necessità e dai denari di Piaggio, parte dal concetto che la moto è scomoda e soprattutto sporca per chi la guida. La sua piccola moto carenata, ancora con codice MP6, è tondeggiante, semplice, con una carrozzeria autoportante, il cambio al manubrio, le ruote a sbalzo e il motore collegato alla ruota posteriore. Leggenda vuole che appena messo in moto il primo esemplare, ascoltando il rumore del motore, Piaggio esclami: “Sembra una vespa!”. Gioco facile: la Vespa rimette in moto l’Italia. I mezzi pubblici ancora erano da venire e incentivare, di biciclette come insegnava Vittorio De Sica ne rubavano ad ogni angolo, così il gingillo di Pontedera rivoluziona un settore di mercato. La spinta fondamentale, poi, arriva dalla pubblicità. La diffusione della Vespa è subito boom planetario grazie al cinema. Gli eredi Piaggio hanno sempre spiegato che l’effetto fu voluto e cercato.

Simone Signoret, Anthony Quinn, Kirk Douglas, Domenico Modugno, Sordi e Fabrizi, salgono sul lungo sellino per mostrarsi alla moda e mostrare la nuova moda, ma anche perché quello scooter piace da impazzire. Tutti i registi Usa che girano film ambientati nel presente – anni ’50 – vogliono una Vespa da immortalare su pellicola. Nel 1953 Luciano Emmer getta letteralmente Gregory Peck e Audrey Hepburn sopra una Vespa e gira gli esterni giorno di Vacanze Romane (il film è di Wyler ndr)  e li fa diventare, tutti e tre, immortali. Quando nei primi anni sessanta arriveranno sul mercato le prime utilitarie, è ancora una trovata di marketing e di pubblicità e rilanciare la Vespa. Dopo il generico cliente che la usa come comodo e personale mezzo di locomozione post ’46, basta puntare sui “giovani” e il vespino torna a ronzare a mille.

La Piaggio colora la Vespa di rosso, bianco e azzurro. Nel ’63 propone il primo “cinquantino” che possono guidare tutti senza patente e targa. Gianni Morandi urla “shake” negli spot tv e un’orda di ragazzini lo seguono sulle loro Vespe. Ancora un’altra ondata di cambiamento dei costumi col ’68 e arriva il lancio che trasforma lo scooter di D’Ascanio e Piaggio in prodotto cool del momento: “Chi ‘Vespa’ mangia le mele”. Un sostantivo che si fa verbo malandrino, allusione sessuale al peccato originale, ma anche inno garbato all’anticonformismo e all’indipendenza. La Vespa è così. Qualche accorgimento nella linea esteriore, due tre tocchi di vernice e dove la metti sta.

La usa James Bond, appare in American Graffiti di George Lucas, diventa status identitario nella guerra tra Mods e Rockets in Quadrophenia (1979) di Frank Roddam con la GS posseduta da Ace Face/Sting che sul finale fa una brutta fine giù per le bianche scogliere di Dover. Poi ancora: la usano nei film comici (Il ragazzo di campagna con la celebre sequenza di Boldi che si fa annunciare coi propri peti alzandosi dalla Vespa); ma anche nello straordinario capitolo ‘In Vespa’ di Caro Diario diretto da Nanni Moretti. “C’è una cosa che mi piace fare più di tutte” scrive Nanni sul suo diario, camera car alla Makhmalbaf, circumnavigazione di Roma d’estate che lascia senza fiato, lo scooter di culto è talmente di famiglia che nemmeno lo si dichiara più come product placement. A Pontedera dal 23 al 25 aprile saranno in mostra tutti i modelli possibili e immaginabili che hanno fatto la storia: dal 50 Special alla Vespa Primavera, dall’HP 50 alla PK 125. Settant’anni da Vespa e non sentirli.

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