L’ammissione, clamorosa, arriva direttamente dal direttore generale della sanità veneta Domenico Mantoan: “Io sono tra i super esposti – dichiara il dirigente regionale parlando dell’emergenza Pfas, le sostanze cancerogene nelle acque del Veneto – perché ho bevuto per trent’anni l’acqua di casa mia a Brendola, nel vicentino. Ora ho fino a 250 nanogrammi per grammo di Pfas nel sangue”. La Regione Veneto cambia passo sull’emergenza sanitaria e ambientale per le sostanze perfluoroalchiliche, di cui fino a poco fa discuteva riservatamente nelle riunioni tecniche definendola “fuori controllo”, e decide di uscire allo scoperto rendendo nota tutta la gravità del problema, insieme agli esperti dell’Istituto Superiore di Sanità e dell’Oms. “Più di 60mila persone residenti nelle zone a maggior impatto sono contaminate – spiega l’assessore regionale alla Sanità, Lucio Coletto – Altre 250 mila sono interessate dal problema”.

Insieme a Loredana Musmeci dell’Istituto Superiore di Sanità, a Marco Marcuzzi dell’Oms e al dirigente della sanità veneta Mantoan, l’assessore Coletto ha presentato i primi risultati del biomonitoraggio che la Regione ha realizzato con l’Iss sulla popolazione esposta ai Pfas, “possibili cancerogeni” per lo Iarc. Il risultato è che sangue dei veneti – e dei vicentini in particolare – scorrono quantità rilevanti di Pfas, un gruppo di composti prodotti per decenni dalla fabbrica chimica Miteni di Trìssino, nel vicentino, usati per l’impermeabilizzazione di pentole e tessuti, che hanno contaminato le falde acquifere delle province di Vicenza, Verona e Padova. La zona più colpita, dove si trovano i cittadini “esposti” (14 ng/g) e “super esposti” (70 ng/g), è quella compresa tra i comuni di Montecchio Maggiore, Lonigo, Brendola, Creazzo, Altavilla, Sovizzo, Sarego, in provincia di Vicenza. Mentre la zona di controllo interessa i comuni di Mozzecane, Dueville, Carmignano, Fontaniva, Loreggia, Resana e Treviso. Nell’agosto del 2013 è stata effettuata la messa in sicurezza degli acquedotti, tramite l’applicazione di filtri a carboni attivi che costano 2 milioni di euro all’anno. Ma fino ad allora l’acqua ha intossicato la popolazione.

Un’emergenza rimasta a lungo sotto traccia, tanto che le indagini sull’origine della contaminazione, iniziate nel 2013 in seguito a un esposto dell’Arpa, sono rimaste ferme per tre anni in Procura a Vicenza. Secondo gli inquirenti, per contestare il reato di avvelenamento delle acque sarebbero stati necessari i risultati di uno studio epidemiologico. Ora la Regione, sotto il coordinamento dell’Iss, fa sapere di volerne avviare uno “della durata di 10 anni” partendo dalle 60mila persone più esposte della provincia di Vicenza. Le analisi, promette l’assessore Coletto, saranno effettuate a carico della sanità regionale e verranno estese a tutti i 250mila cittadini dei comuni del Veronese e del Padovano coinvolti. Chi risulterà positivo agli esami verrà seguito con un protocollo di follow-up semestrale a partire da gennaio 2017.

I composti Pfas, ha spiegato la dottoressa Musmeci dell’Iss, sono “idrosolubili e vengono assorbiti rapidamente per via orale. Una volta nell’organismo, si legano alle proteine del plasma e del fegato, e vengono eliminate dai reni solo molto lentamente”. Secondo gli studi epidemiologici, effettuati sulla popolazione della Mid-Ohio Valley, negli Usa, e su quella tedesca, i Pfas possono causare “colesterolo alto, ipertensione, alterazione dei livelli del glucosio, effetti sui reni, patologie della tiroide e, nei soggetti iper esposti, tumore del testicolo e del rene”.

Lo studio avviato in Veneto potrà essere determinante per modificare la classificazione di cancerogenicità dei Pfas fatta dello Iarc, che per ora si basa su una letteratura limitata. Mentre l’Unione Europea sta elaborando, sulla base del caso veneto, una direttiva che imponga minuziosi controlli sui Pfas nell’acqua. “La magistratura è sempre stata informata fin dall’inizio – spiega a ilfattoquotidiano.it l’assessore alla Sanità della Regione Veneto, Lucio Coletto – e per quanto riguarda i danni sanitari e ambientali, nei primi mesi del 2014 ho scritto all’avvocatura regionale chiedendo di valutare la possibilità di rivalersi nei confronti della ditta che ha inquinato”. Una decisione che dovrà essere presa dalla giunta regionale, ma che per l’assessore è ormai “una scelta obbligata”. Così come la richiesta al governo, che verrà discussa nella prossima riunione di giunta, dell’istituzione di un nuovo sito inquinato di interesse nazionale.

Articolo Precedente

Genova, petrolio nel torrente Polcevera: “Accelerare i tempi perché il greggio non arrivi in mare”

next
Articolo Successivo

Giornata della Terra 2016, oltre 800 fotografie del “tesoro da custodire”. Meraviglie della natura e angoli dimenticati

next