“Per tutti arriva l’ultima ora, ma comunque sia rimarranno le idee dei comunisti cubani, a dimostrazione che in questo pianeta, se si lavora con fervore e dignità, si possono produrre i beni materiali e culturali di cui hanno bisogno gli esseri umani”.

Così ha detto Fidel Castro.

Questo, a rigore, il suo testamento spirituale. Questa la grande eredità che ci lascia Cuba: si avvia al tramonto l’uomo, ma non l’ideale; non l’ideale di un’umanità fine a se stessa, di una “società regolata” (Gramsci), sottratta alla prosa reificante del classismo e dell’alienazione capitalistici.

Con buona pace dei detrattori, de venduti, dei pentiti e degli ideologi del capitalismo vincente, Cuba resta un modello: un modello di Stato comunista, basato sull’eguale libertà degli uomini; un modello di Stato resistente all’occidentalizzazione americanista. L’esempio di comunismo in un solo Paese da cui dobbiamo imparare, contro l’oggi in voga retorica del “non c’è più niente da fare” e dell’ “internazionalismo o barbarie”. È il modello della “semplicità che è difficile a farsi” (Brecht), della sacrosanta protesta contro l’orrore del neoliberismo e del monoteismo del mercato.

Fidel, come il Che, ci ha insegnato che occorre resistere al folle mito del globalismo internazionalistico classista, a cui in Europa anche le sinistre hanno prestato la loro vile adesione.

Cuba resta un modello, pur con le sue contraddizioni (certo non maggiori rispetto a quelle del capitalismo realizzato). Fidel e Cuba ci hanno insegnato che resistere è possibile, anche quando tutto sembra perduto. Ci hanno insegnato che il capitalismo non è il solo mondo possibile, né il migliore.

E poco conta che i “funzionari delle superstrutture” (Gramsci), ossia i prezzolati giornalisti, pennivendoli e accademici di regime, hanno diffamato, diffamano, e diffameranno Cuba come “totalitaria” con il solo obiettivo di inculcare nelle menti dei giovani il dogma per cui occorre riconvertirsi a quel capitalismo che – si dice – non sarà il migliore dei mondi possibili, ma è il solo possibile: Cuba e Fidel ci insegnano che resistere è necessario e che, rispetto al mondo del fanatismo economico, del classismo dilagante e delle disuguaglianze sempre più evidenti, resta sempre valida l’alternativa “socialismo o barbarie”. Continuano a mostrarci i limiti macroscopici di un mondo che, predicandosi fine della storia, si finge il destino ultimo dell’umanità. Per questo, sapendo di andare ostinatamente contro corrente, occorre ripetere senza tema di smentita: viva Fidel! Viva Cuba!

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