Se è ben impastata, è soffice e gustosa in bocca, se gli ingredienti sono di qualità ti sembra di mangiare un pomodoro intero. E’ la magia della pizza, riconosciuta in tutto il mondo come il fiore all’occhiello del vero made in Italy, tanto da esser candidata a patrimonio dell’Unesco.

A spezzare la magia però sono i dati presentati oggi da Coldiretti in occasione della manifestazione per la difesa della dieta mediterranea: due pizze su tre – servite in Italia – sono ottenute da un mix di ingredienti proveniente da terre coltivate a migliaia di chilometri di distanza, lontani quindi dagli standard qualitativi delle nostre filiere agroalimentari.

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Pensare che ogni giorno vengono sfornate ben 5 milioni di pizze, il che tradotto significa 200 milioni di chili di farina, 225 milioni di chili di mozzarella, 30 milioni di chili di olio di oliva, 260 milioni di chili di salsa di pomodoro. Una lista della spesa che vale quasi 2 miliardi di euro l’anno. Sarebbe un vero bottino d’oro per la nostra economia che in quanto a cibo vanta gli standard qualitativi più alti nel mondo.

Ma la concorrenza è spietata, e a rimetterci sono agricoltori e consumatori.

Per esempio, la Cina nel 2015 ha quintuplicato le esportazioni di concentrato di pomodoro raggiungendo il 10% della produzione italiana.

Immaginatevi un via vai di navi che arrivano nei nostri porti dalla Cina e sbarcano fusti di oltre 200 chili di peso con dentro concentrato di pomodoro. Che fine fa tutto quel sugo? Viene rilavorato dalle aziende committenti e confezionato nei barattoli destinati alla vendita al dettaglio (per intenderci quella destinata ai supermercati) e venduto come italiano! Dal fustone blu made in China alle nostre tavole come made in Italy, com’è possibile? Nei contenitori finali è obbligatorio indicare solo il luogo di confezionamento ma non quello della coltivazione. Questo vale anche per gli altri ingredienti, l’olio che arriva dalle coste tunisine, i formaggi per la lavorazione industriale importati soprattutto dall’Est Europa e usati per produrre mozzarelle e formaggi di bassa qualità spesso utilizzati nelle pizze. Il risultato è che di quella pizza c’è davvero poco del nostro patrimonio agroalimentare.

Non si tratta solo di orgoglio nazionale. Il broccolo, alleato numero uno della nostra salute, è oggi sotto i riflettori per essere finito nella black list dei cibi più contaminati. E anche in questo caso a fare la differenza è l’origine del prodotto. Si parla infatti del broccolo cinese che, sulla base della analisi condotte dall’Efsa (Agenzia Europea per la sicurezza alimentare), contiene residui chimici nella quasi totalità dei campioni analizzati (92%).

Fondamentale è quindi introdurre in Italia l’obbligo di indicare in etichetta l’origine degli alimenti. Nel frattempo ricordiamoci di chiedere sempre da dove arrivano i prodotti che compriamo, perché ad oggi la migliore arma contro la contaminazione è la consapevolezza di cosa compriamo.

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