Turni massacranti, personale che riesce a coprire a fatica la crescente mole di lavoro richiesta al punto da non riuscire a smaltire centinaia di giorni di ferie o da accumulare migliaia di ore di permessi, con la consapevolezza della grande responsabilità di prestare servizio in un reparto in cui i pazienti sono donne partorienti e neonati che si affacciano alla vita. È l’allarme lanciato da ostetriche, infermieri e operatori sociosanitari di ostetricia e ginecologia del dipartimento materno-infantile dell’ospedale Maggiore di Parma. In tutto 178 dipendenti che da qualche anno a questa parte lamentano condizioni e ritmi di lavoro insostenibili, che rischiano di peggiorare anche il servizio alla cittadinanza. Lunedì 18 aprile a Parma una cinquantina di dipendenti, insieme al funzionario Cisl Giovanni Oliva e altre Rsu aziendali, si sono presentati dal direttore generale dell’azienda ospedaliero-universitaria di Parma Massimo Fabi per portare alla sua attenzione il problema. “Quello che chiediamo è poter lavorare in sicurezza per poter garantire un servizio efficiente ai cittadini, in un reparto in cui la cautela deve essere massima perché in gioco c’è la vita delle persone” hanno spiegato le ostetriche insieme ai colleghi del padiglione. E al momento, secondo quanto denunciano i lavoratori, la sicurezza può essere garantita solo a costo di enormi sacrifici, che però non sono più disposti a fare.

E’ da mesi che gli ospedali hanno lanciato l’allarme per le condizioni di lavoro del personale. Il 25 novembre scorso infatti è entrata in vigore la legge che recepisce in Italia la direttiva europea sui turni e i riposi obbligatori di camici bianchi, infermieri e ostetrici. A fronte delle nuove regole sarebbero state necessarie nuove assunzioni, come più volte promesso dal ministero della Salute, che però non sono mai arrivate costringendo le strutture a caricare ancora di più i dipendenti.

La mancanza di personale pesa sulla funzionalità del reparto: dal 2013 per esempio le ostetriche, il cui ruolo non è sostituibile da altre figure professionali, sono passate da 53 a 57, e altre 8 sono quelle universitarie, ma a detta dei partecipanti all’assemblea, il numero non è ancora sufficiente per coprire l’attività richiesta, che negli ultimi anni è aumentata. Nel 2015 ci sono stati 200 parti in più rispetto all’anno precedente, e non solo. In media, su 2800 parti all’anno, i cesarei sono passati dal 33 al 22 per cento, mentre sono aumentate del 30 per cento le partoanalgesie. Il risultato è che per coprire i turni e non lasciare scoperto il centro, la maggior parte delle ostetriche ha dai 200 ai 300 giorni di ferie da smaltire e altrettante ore di permesso, che in alcuni casi arrivano addirittura a 1000, e che vengono negate proprio per non bloccare l’attività. “Noi dobbiamo essere operative al 100 per cento, ma il nostro lavoro non è programmabile – continuano le dipendenti – Dalla normalità si può passare all’emergenza nel giro di pochissimo tempo, ed è per questo che sono necessarie assunzioni a tempo indeterminato perché ci sia sempre una squadra pronta e operativa”.

Al momento dei 178 dipendenti del reparto, 22 sono a tempo determinato, di cui 10 ostetriche che sono state assunte proprio per far fronte alle lunghe assenze come aspettative o maternità. Quello che però i dipendenti chiedono è un aumento dell’organico fisso, e non solo per il periodo estivo, dove l’emergenza si fa più sentire a causa delle ferie, che almeno in questo periodo vengono concesse. L’ospedale di Parma è infatti un Hub, riferimento quindi per strutture e popolazioni dei territori vicini, e qui vengono ricoverati anche donne e neonati con patologie particolari o malformazioni. “L’assistenza deve essere 24 ore su 24 – chiariscono i lavoratori – con professionisti competenti e in un numero adeguato per poter agire nell’emergenza in breve tempo”. Anche perché i neonati, che a differenza delle madri non vengono conteggiati come pazienti perché stanno con loro, sono comunque sotto la responsabilità delle ostetriche, che li tengono sotto osservazione e li monitorano, soprattutto nei casi in cui le donne abbiano subito un parto cesareo o abbiano avuto delle complicanze. Ad aggravare le cose ci sono poi problemi strutturali che non possono essere risolti nel breve periodo, come il fatto che sala operatoria, sala parto e degenza sono disposti su tre livelli diversi, e quindi in caso di emergenza è difficile trasportare un paziente da un piano all’altro, soprattutto se il personale è in numero ridotto.

Il direttore Fabi ha garantito che da parte sua ascolterà le richieste avanzate dal gruppo, esprimendo però massima fiducia nei coordinatori che già si occupano della gestione del reparto. “Invito a fare proposte e a presentarmele, in modo da avviare insieme un progetto per la riorganizzazione delle funzioni” ha replicato, ricordando che l’impegno finanziario per il personale dal 2014 è cresciuto notevolmente. A dicembre 2015 al Maggiore sono stati assunti 32 infermieri, 12 medici, 4 ostetriche e 17 tra tecnici e sanitari. “Confidiamo nella direzione generale e crediamo che ci possa aiutare – ha commentato Oliva – Speriamo che si arrivi davvero a un progetto di riorganizzazione”.

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