Loredana Bertè è una delle poche rockstar italiane di sempre. Cioè, uno guarda Emma, che si atteggia a diva, poi pensa a Loredana Bertè, a come occupava militarmente la scena ogni qualvolta comparisse in televisione, e gli viene da piangere. Uno guarda Elisa che ora sclera in televisione, perché Anna Oxa, un’altra delle vere rockstar nostrane, ha criticato una delle sue ragazze a Amici, poi pensa a Loredana Berté che si presenta con la pancia finta a Sanremo, che posa nuda per Playboy, che si muove sinuosa nel video di Acqua, canzone che poi si chiude con un coro di bambini, e gli viene da dare testate secche contro il muro, cercando gli spigoli, almeno questa sofferenza finisce. Uno pensa a certi giornalistucoli che in televisione spacciano per capolavori gli strilli di una Debora Iurato o di una Francesca Michielin, poi considera che la Bertè incideva un reggae negli anni Settanta, cioè prima di chiunque altro in Italia, portandolo in testa alle classifiche, si faceva scrivere canzoni da Ivano Fossati, da Bruno Lauzi, da Oscar Avogadro, da Maurizio Piccoli, da Enrico Ruggeri, da Mario Lavezzi, da Djavan, così, come se niente fosse, ed ecco, l’eroina presa in vena sembra di colpo essere la sola possibilità di salvezza.

Loredana Bertè è stata tutto prima di tutte, si mettano il cuore in pace le aspiranti rockstar e popstar italiane. La prima, la più brava, la più affascinante, la più folle, la più eccessiva, la più arrabbiata. La sola. Poi, e tutte le storie, per dirla alla Hemingway, se le fai andare sufficientemente alla lunga non potranno che finire male, si è persa. Per mille motivi. Il suo narcisismo, probabilmente, l’amore disperato con Borg, la morte della sorella. Si è persa, e sembrava non volersi o potersi trovare più.

Invece si è trovata. In qualche modo. Non esattamente come quando si era persa, perché nel mentre è passato del tempo, la voce, seppur sempre evocativa e empatica, si è rotta irreparabilmente. Ma si è trovata. A salvarla, oltre che un carattere sicuramente di titanio, anche una serie di personaggi. Renato Zero, sembra, amico di sempre. Maria De Filippi, che l’ha chiamata a Amici (su questo avremmo cose da dire, ma non in questa sede). E Fiorella Mannoia, che ha prodotto, per la prima volta in vita sua, il suo ultimo lavoro di studio. Un lavoro che intende, o meglio, intenderebbe, celebrare la sua carriera imponente, chiamando a raccolta le colleghe cantanti. Se lo merita, Loredana, per tutte le cose scritte fin qui, quelle artistiche e anche quelle personali.

Solo che… sì, perché a questo punto arriva sempre un “solo che”, e stavolta è di quelli che ti fanno mollare l’eroina, per passare direttamente al crack. Ora, capisco il gesto generoso di passare dall’altra parte del vetro e indossare per la prima volta in oltre quarant’anni di carriera i panni del produttore, gesto nobile da parte di Fiorella Mannoia, non stiamo qui a discuterne. Capisco tutto, ma, Santo Iddio, se in quarant’anni di carriera, carriera nella quale hai fatto un sacco di belle canzoni, ottimamente, scritte, ottimamente cantante e ottimamente prodotte, non sei mai stata tu quella a vestire suddetti panni di produttore, ci sarà un motivo, no? E il motivo, si evince da questa prima, e speriamo unica, prova, sta tutto nel fatto che, tanto è considerata legittimamente elegante e sobria la faccenda quando è Fiorella a cantare, tanto risulta sbracata, se non addirittura trash stavolta, che è Loredana a cantare e Fiorella a produrre.

Capisco anche che l’esperienza fatta sull’onda dell’emozione per la tragedia del terremoto de L’Aquila a San Siro, quell’Amiche per l’Abruzzo che ha fatto in qualche modo scuola, abbia da una parte ispirato la Mannoia nel proporre alla Bertè un album di duetti tutti al femminile, e capisco pure che, una volta presa questa decisione, non originalissima ma pur sempre interessante, la Mannoia, la Bertè e tutti quelli che hanno organizzato questo lavoro abbiano dovuto fare i tristi conti con l’oste, leggi omini che gestiscono Televisione e Radio, ma come diamine si fa a chiamare a questo convivio gente come Emma (qui a rendere sguaiato il perfetto equilibrio fossatiano di Non sono una signora), Alessandra Amoroso (che rende banale Sei bellissima, e ce ne vuole), Nina Zilli, Antonella Lo Coco e Nostra Signora degli Imbucati Bianca Atzei? Questo a fronte dell’assenza di tutte le colleghe che hanno condiviso la scena con la Bertè quando la musica, in Italia, c’era davvero. Qualche nome? Anna Oxa, appunto, che ora siede al suo fianco nelle poltrone dei giudici di Amici 15, Alice, Antonella Ruggiero, solo per fare i primi che ci vengono in mente.

Fortunatamente c’è Patty Pravo, che in quanto a assenza di voce ormai è pari alla stessa Bertè, ma che con la Bertè condivide la natura assoluta di diva. E Aida Cooper, che della Bertè è storica corista, e che ha una voce che scortica l’anima. Nell’insieme, però, anche quando a duettare con Loredana è la Mannoia, presente in In alto mare e Il mare d’inverno, il risultato è imbarazzante. Roba da Rita Forte che fa gli stacchetti nei programmi di Luciano Rispoli. Ingiustificata, poi, l’assenza di capolavori assoluti, quali Acqua, appunto, o J’adore Venice e Jazz. Sarebbe stato meglio, si sarà capito, se non ci fossero stati invece altri classici, resi inascoltabili, quali E la luna bussò, con Elisa.

Passabili, ma perché in questa desolazione anche una lucciola sembrerebbe un sole, le collaborazioni con Paola Turci, Noemi e Irene Grandi. Non male anche gli inediti, specie Il mio funerale. Un po’ pochino, nell’insieme. Insomma, non tanto un’occasione sprecata, ma un vero attentato a una carriera che, invece, avrebbe meritato ben altro trattamento. La speranza, perché anche in questo disastro vogliamo sperare che qualcosa di buono sotto le macerie ci sia, è che qualcuno, colto dallo stesso fascino che si prova guardando le carcasse ancora fumanti della auto dopo un incidente, leggete James Ballard per capire, vada magari a ripescare i brani originali di Loredana Bertè, quando era la regina assoluta, voce roca, cazzimme giusta e un fascino certo non elegante ma indiscutibile.

C’è solo da ringraziare la Madonna che la Mannoia non abbia coinvolto in questo scempio anche Laura Pausini, perché solo al pensiero di cosa avrebbe potuto fare viene da sperare nell’arrivo sul mercato di una qualche droga nuova, di quelle che poi finiscono nei servizi di Studio Aperto, per niente allarmistici. Fidatevi di uno nato negli anni Sessanta, mollate Amici non ne ho… ma amiche sì!, e andate a sentirvi Normale o Super (del 1976), TIR (1977), Bandabertè (1979), LoredanaBertè (1980), Traslocando (altro brano tragicamente assente, del 1982), Lorinedita (1983), Jazz (1983 anche questo), Savoir Faire (1984) e Carioca (1985), ne ascolterete delle belle. Ma belle davvero.

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