Il processo per lo scandalo Mose si è aperto a Venezia senza nessuno degli otto imputati, ma con il sospetto che il romanzo delle tangenti sia un libro aperto di cui è stato scritto l’inizio, ma non ancora la fine. Non si sono presentati né l’ex ministro Altero Matteoli, che si occupò prima di ambiente e poi infrastrutture nei governi di Berlusconi dal 2001 al 2008, né l’imprenditore romano Erasmo Cinque, suo amico, e neppure l’ex sindaco di Venezia Giorgio Orsoni che era a capo di una giunta di centrosinistra, l’ex magistrato alle acque Maria Giovanna Piva e l’ex eurodeputato di Forza Italia Lia Sartori. I loro difensori hanno cominciato a presentare le eccezioni preliminari nel tentativo di dirottare ad altra sede il dibattimento per corruzione e finanziamento illecito dei partiti.

Ad esempio, l’avvocato Francesco Compagna ha sostenuto che la competenza a giudicare Matteoli sarebbe del tribunale di Roma, visto che nella capitale sarebbero state pagate le supposte tangenti (per un totale di 550mila euro), dopo l’assegnazione da parte del Consorzio Venezia Nuova dei lavori di disinquinamento per 48 milioni di euro alla società di Cinque. Il tribunale presieduto da Stefano Manduzio deciderà alla prossima udienza, fissata tra un mese. In quella occasione si saprà anche se alle parti civili già costituite (Presidenza del consiglio, Regione Veneto, Città Metropolitana, Comune di Venezia e Consorzio Venezia Nuova) si aggiungeranno Codacons, Codacons Veneto, associazioni ambientaliste come Italia Nostra e Wwf. Inoltre, l’avvocato Mario D’Elia che nel 2010 era candidato alla carica di sindaco e si ritiene danneggiato dal finanziamento a 450mila euro di cui beneficiarono il Pd e il candidato Orsoni e proveniente dal Consorzio che stava realizzando le dighe mobili contro l’acqua alta.

Amaro, a margine del processo, il commento del procuratore aggiunto di Venezia, Carlo Nordio. “Questo processo non è l’inizio della fine, è solo la fine dell’inizioha detto riferendosi all’inchiesta che nel giugno 2014 portò a decine di arresti e decapitò la classe politica veneta, a causa delle mazzette pagate da Giovanni Mazzacurati e dalle aziende del Consorzio Venezia Nuova. “Ventiquattro anni fa ero pubblico ministero nel processo a Gianni De Michelis e Carlo Bernini, spero che tra vent’anni i miei giovani colleghi non si trovino a celebrare processi simili a questo”. Della serie: nulla è cambiato nel grande romanzo del malaffare. In questi due anni i patteggiamenti degli imputati sono stati 32, lo Stato ha incamerato una decina di milioni di euro sotto forma di risarcimenti. “Accedere a certi patteggiamenti è stato un utile compromesso, anche perché il rischio di prescrizione è sempre incombente” ha ricordato Nordio.

Gli otto imputati che affrontano ora l’unico processo pubblico che si terrà in Veneto per il Mose (un altro ha visto la condanna a Milano di Marco Milanese, ex braccio destro di Tremonti) sono una pattuglia residua rispetto a un centinaio complessivo di persone indagate. Cosa rimane da recuperare? “Sono in corso rogatorie internazionali, per questo dico che questo è solo la fine del’inizio. Ma tutti sappiamo quanto sia complesso trovare soldi nascosti all’estero”.

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