Il magistrato di sorveglianza ha revocato il regime di semilibertà a Doina Matei per aver postato alcune sue fotografie su Facebook. Doina Matei è stata condannata a sedici anni di carcere per l’omicidio preterintenzionale di Vanessa Russo, avvenuto nella metropolitana romana quando Doina aveva diciotto anni. Perché sia stata decisa la revoca della semilibertà non è chiaro. Il provvedimento non è noto nei dettagli e speriamo davvero di poterlo leggere nelle prossime ore al fine di comprendere meglio la situazione. Quel che ci sentiamo di dire fin da ora è che, se le foto sul social network costituiscono davvero il solo motivo della revoca, il magistrato è venuto meno al senso della legge che quella semilibertà prevede.

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Le misure alternative al carcere sono state pensate come uno degli strumenti per rendere effettiva quella funzione di reinserimento sociale che la pena deve avere secondo la nostra Costituzione (e che conviene all’intera società che essa abbia). In particolare il regime di semilibertà, secondo il nostro ordinamento penitenziario, “consiste nella concessione al condannato e all’internato di trascorrere parte del giorno fuori dell’istituto per partecipare ad attività lavorative, istruttive o comunque utili al reinserimento sociale”. Doina ha scontato nove anni di carcere, non un giorno. Dopodiché, avendo evidentemente tenuto un comportamento congruo durante la detenzione, ha avuto il permesso di trascorrere alcune ore del giorno fuori dall’istituto. È ampiamente dimostrato che le misure alternative funzionano: chi sconta una parte della pena fuori dal carcere, avendo così l’opportunità di ritessere gradualmente quei legami lavorativi, relazionali, affettivi che il carcere ha interrotto, torna a delinquere molto meno di chi sconta in galera l’intera condanna.

Qual è stato lo sbaglio di Doina Matei nel postare quelle fotografie? L’aver usato un social network? E come si può pensare che nel 2016 una trentenne si reintegri in società senza usare il web? L’aver mostrato un volto sorridente? E quale funzione reintegrativa dovrebbe avere la nostra pena se non consente a una donna che è stata dietro le sbarre nove anni e che rivede la luce di fare un sorriso? Sarebbe solo vendetta e niente altro. Una vendetta inutile per chi la subisce e per la società intera nel nome della quale la si commina.

Che i genitori di Vanessa mostrino la loro rabbia è del tutto comprensibile. A nessuno si può chiedere freddezza e razionalità dopo che ha vissuto un dramma dalle proporzioni smisurate quali quello dell’assurda e insensata perdita di una figlia come Vanessa Russo. Ma è proprio per questo che le società democratiche avanzate non lasciano nelle mani delle vittime l’amministrazione della giustizia. Quella razionalità che non si può chiedere alla famiglia Russo va pretesa dai magistrati e va seminata e diffusa nell’opinione pubblica. I media possono fare tanto su questo. E il compito dello Stato non è quello di inseguire gli umori popolari ma quello di garantire i valori della Costituzione.

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