Muri. Muri ai confini. Muri in Ungheria, in Bulgaria e ora al Brennero. Le barriere sono un segnale inquietante che testimonia il fatto che ci siamo dimenticati chi siamo. Non abbiamo memoria, altrimenti ricorderemmo che l’Europa di oggi si è fondata anche sulle macerie del secondo conflitto mondiale, fatto di cinquanta milioni di morti e dello sterminio di gruppi etnici. Se avessimo memoria ci ricorderemmo di quando noi, noi europei, eravamo sfollati: milioni di persone scappate dalle proprie case a causa della guerra. Il fatto è che non sappiamo più, perché non l’abbiamo vissuta, che cos’è la guerra. I nostri nonni e le nonne lo sapevamo molto bene. Conoscevano il ronzio che fanno le bombe prima di cadere, seminando il loro carico di morte. I nostri nonni, quelli che hanno messo le basi di una Europa pacificata e che ci hanno regalato la possibilità di non conoscere la guerra, sapevano cosa voleva dire convivere con la morte.

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Conoscere il significato della guerra ci permetterebbe di capire che la persona che abbiamo davanti – il profugo – è una risorsa per noi: è colui che testimonia, tramite la sua viva carne e i suoi ricordi, il dramma del conflitto. Come ascoltavamo i racconti di guerra dei sopravvissuti, dei partigiani e dei nostri famigliari, dovremmo prestare la massima attenzione a chi oggi scappa e cerca rifugio dalla morte qui, con noi, da noi. Ma non ricordiamo, ci asserragliamo dietro le nostre paure alimentate da partiti xenofobi che cavalcano slogan populisti e scaricano i problemi delle nostre società sui rifugiati: “sono loro – dicono i razzisti (che dichiarano persino di non essere razzisti) – il problema. Cacciamoli e vivremo meglio. Rimandiamoli indietro”. Questo slogan vince, è sulle bocche di molti e questo fa ribrezzo. E’ drammatico, abominevole, sovrapporre i problemi delle nostre società a quello dell’immigrazione causata dalla guerra. C’è chi vede questi sopravvissuti come degli appestati, qualcuno da cui stare lontani. Meglio non vederli e per questo si costruiscono muri. In fin dei conti loro, non meritano la democrazia, la libertà e i diritti umani.

Quando nei loro paesi queste parole verranno applicate allora li accoglieremo, saranno nostri pari. Ma queste parole “rispetto dei diritti umani, democrazia, libertà”, fino alla supposta superiorità della ‘nostra’ civiltà occidentale, non sono più credibili a fronte di quello che avviene a Idomeni, a Lesbo, in Ungheria e i altri luoghi. Gente costretta a vivere nel fango di tendopoli sorte all’improvviso, che sono diventate il limbo per centinaia di migliaia di persone che vengono private della dignità. Manganellate; soffocate dai gas lacrimogeni e incomprese. Abbiamo bisogno della memoria. Le nostre società civili, i nostri intellettuali e i nostri politici dovrebbero recarsi in questi luoghi in pellegrinaggio e abbattere la paura, insieme ai muri.

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