Lo scandalo petrolio, al netto di vicende personali grottesche quanto disarmanti, mette in luce, una volta di più, il filo rosso che lega Matteo Renzi a Silvio Berlusconi.

E’ quest’ultimo, infatti, nell’aprile del 2011, a porre le basi per lo sblocco del contestato progetto Tempa Rossa. Il favore alla potente lobby dei petrolieri, realizzato con l’adozione di un emendamento ad hoc scritto sotto dettatura, affonda infatti le proprie radici in un patto siglato cinque anni fa dal governo Berlusconi con la Regione Basilicata. Si tratta del “memorandum di intesa Stato-Regione Basilicata per l’accelerazione dello sviluppo regionale attraverso politiche aggiuntive di sviluppo industriale, generatore di occupazione, di incremento della dotazione infrastrutturale, di investimenti in ricerca e innovazione connesse alla ricerca e coltivazione delle fonti fossili”.

Pinocchio - Il burattino simbolo della protesta contro Renzi, ieri a Napoli.

Il patto ha in calce tre firme: quella di Vito De Filippo, al tempo governatore della Basilicata ed ora renzianissino sottosegretario alla Salute, dell’alfaniano Guido Viceconte allora in rappresentanza del Ministero dell’Istruzione. Il terzo firmatario è un altro dirigente dell’Ncd, proveniente dalle fila di An: Stefano Saglia, nel 2011 sottosegretario con delega all’Energia al Ministero dello Sviluppo retto da Claudio Scajola, catapultato a fine carriera politica nel Cda di Terna, per poi finire nel mirino dei magistrati nell’ambito della maxi inchiesta sulla gestione illecita degli appalti delle Grandi opere.

Ebbene, l’intesa ruota proprio attorno ai pozzi petroliferi della Val D’Agri, il cui sfruttamento, nell’idea dei firmatari, va intensificato: i giacimenti “coprono oggi il 6 per cento del fabbisogno nazionale, che si presume di incrementare al 10 per cento nel 2015, quando entrerà in produzione il giacimento Tempa Rossa”, si legge nelle premesse del memorandum.

Gli obiettivi sottesi allo sblocco del sito finito sotto la lente di ingrandimento della magistratura sono altissimi: si assisterà ad “[…] un incremento del 40 per cento delle produzione petrolifera, alla progressiva riduzione della dipendenza estera per l’approvvigionamento energetico e ad un significativo aumento del già importante contributo della Regione Basilicata, che così, coprirebbe oltre il 10 per cento del bilancio energetico nazionale“.

Le “compensazioni” messe sul piatto per far digerire ai lucani l’accelerazione nello sfruttamento di Tempa Rossa sono tanto ambiziose quanto fumose. Nel memorandum si parla di una crescita degli investimenti in ricerca industriale e formazione professionale; di “attuazione degli interventi a valenza strategica in grado di rafforzare la competitività del sistema produttivo e formativo”; di uno “speciale e straordinario sostegno aggiuntivo alle misure di prevenzione e tutela dell’ambiente e del territorio”; addirittura di un futuro “sviluppo del sistema industriale locale in settori strategici della cosiddetta “economia verde””.

Il “pacco dono” per la Basilicata, confezionato dal governo Berlusconi, mira al raggiungimento di un unico, grande e nobile obiettivo: il radicamento di “una effettiva ricaduta occupazionale sul territorio”, assicurando “un rendimento sostenibile agli investimenti delle compagnie petrolifere, in un contesto territoriale di massima prevenzione e tutela dell’ambiente e del territorio e della salute pubblica”.

Sembra un sogno. Ma la realtà degli anni a seguire – che i magistrati di Potenza stanno contribuendo a ricostruire in tutti i suoi aspetti di impatto sulla salute pubblica e sull’ambiente e nelle sfaccettature affaristico-clientelari generate dai vari appetiti cresciuti attorno all’oro nero – sarà decisamente diversa. E con essa non troveranno mai attuazione una lunga serie di sfavillanti progetti citati nel patto: la realizzazione di un Distretto energetico in Basilicata, l’attivazione di “specifiche misure di prevenzione e sicurezza del territorio, di rigenerazione urbana e ambientale […] anche ai fini dell’aumento dell’attrattività turistica”; la realizzazione di un “Centro si Studi Europeo sull’Energia e sulla Sicurezza Energetica, come istituzione comunicatoria a carattere sovranazionale”; la creazione di una “Scuola Superiore di Formazione sull’Energia”.

E’ il 29 aprile del 2011 quando Stato e Regione Basilicata firmano l’intesa. In calce alla quale si richiama l’opportunità di dare “mandato al Tavolo Tecnico presso il Mise […] di predisporre uno schema di Accordo Istituzionale da sottoporre alle parti entro il più breve tempo possibile”. Dell’accordo istituzionale si sono perse le tracce. Ma quasi cinque anni dopo quel patto vacuo, il sogno berlusconiano di aumentare la produzione di greggio si sta finalmente realizzando. Cinque anni non sono certo “il più breve tempo possibile”. Ma con Renzi al governo è comunque arrivata per le lobby del petrolio la volta buona.

@albcrepaldi

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