Il petrolio prima ancora che l’ambiente inquina la democrazia 

Non avrei mai immaginato che questo referendum aprisse una così violenta discussione sul tema petrolio in Italia o che venissero fuori tutti questi scandali, uno più deprimente dell’altro per chiunque ami l’Italia. Essenzialmente predico tutte queste cose da anni, ma questa così grande macchina organizzativa per taroccare i controlli, per mentire alla gente, per farci soldi sopra, con la più totale incuranza per l’ambiente, il pianeta, la gente è veramente strabiliante. I petrolieri hanno giocato con i polmoni, con il mare, con la fiducia degli italiani e questo da solo è un motivo forte per votare  il giorno 17 aprile 2016.

Verso il 17 aprile  - Dagli striscioni sulle  scogliere alle  manifestazioni di piazza:  la mobilitazione per il  referendum   sulle trivelle  - Ansa

Gli altri li elencherò fra qualche paragrafo. Ma è quanto di più meschino e antidemocratico invitare la gente all’astensionismo come cercano di fare in molti nel Pd. Quale che sia stato l’iter di questo referendum siamo adesso chiamati alle urne, e occorre andare a votare per non sprecare i 3-400 milioni di euro che questo referendum costerà. Vincere sperando che non si raggiunga il quorum è uno schiaffo al vivere civile e a tutti quelli che hanno dato la vita, generazioni fa, per darci il suffragio universale.

Il quesito è sulla durata temporale delle trivelle. Le concessioni adesso durano 30 anni con possibilità di proroga fino all’esaurimento del giacimento. Il referendum vuole che, per il futuro e per le sole concessioni entro le 12 miglia, una volta scaduti questi 30 anni, non possano esserci proroghe. Il quesito riguarda una ventina di concessioni della Edison e dell’Eni che “scadranno” fra il 2017 e il 2027. Sono in Adriatico (Emilia Romagna, Marche e Abruzzo), in Sicilia e nel mar Ionio (Calabria). Di queste concessioni una è unicamente a petrolio, Rospo Mare in Abruzzo, le altre sono tutte a gas o miste. Le piattaforme fuori dalle 12 miglia non sono interessate.

Il voto è un voto simbolico. I quesiti iniziali erano sei, ma di questi cinque sono stati cancellati, grazie a sgambetti più o meno aperti da parte del governo. Hanno una gran paura del voto. Oltre a cancellare cinque quesiti su sei, hanno pure deciso di non voler incorporare il voto con le amministrative di giugno, sperando nell’astensionismo. Essendo un voto simbolico, anche l’espressione del voto deve essere simbolico. Non votiamo per trenta o trentuno anni di trivelle. Votiamo per dire al governo che tipo di Italia vogliamo. Una Italia fossile, che si ancora stretta stretta al passato, con tutte questa petrol-molassa di morte, di ministri, di amanti, di bugie, o una Italia che con coraggio guarda al futuro e programma un paradigma energetico diverso, fatto non solo di energia pulita, ma di coscienze pulite.

Non è vero che non si può. I perdenti, i vecchi dentro, quelli che hanno le mani in pasta, dicono che non si può. L’uomo è più intelligente dei buchi. Se abbiamo messo un uomo sulla luna possiamo anche portare sulla terra sole e vento per fare tutto quello che facciamo con il petrolio, senza avvelenare nessuno.  Lo so. E’ la storia che ce lo dice.

Ecco perché votare sì:

1. Dalle trivelle italiane, esistenti e future, non ci guadagnano niente gli italiani, solo i petrolieri. Importiamo ancora la maggior parte del petrolio e del gas che usiamo e sarà sempre così perché ce ne abbiamo troppo poco e scadente per farne affidamento. Non sono le trivelle in mare a portare ricchezza agli italiani. E’ l’ambiente sano, un turismo intelligente e moderno, la bellezza, la poesia del nostro paesaggio che ci salveranno, non i buchi. Ogni Gela è una Taormina mancata.

2. L’Italia è un paese fragile. Trivellare significa stuzzicare e modificare delicati equilibri naturali di cui non sappiamo niente. Tutto il Ravennate è sottoposto a fortissima subsidenza, spiagge intere sprofondano. Studi commissionati dagli stessi petrolieri in tempi recenti confermano che la maggior parte della subsidenza è causata dalle estrazioni metanifere. La subsidenza è un fenomeno irreversibile: una volta che la terra si abbassa non si torna indietro. La subsidenza si può solo rallentare. Chi da il diritto ai petrolieri di lasciare questa eredità alle generazioni future?

3. Quello che emerge da Viggiano (Basilicata) in questi giorni è *normale* per l’industria petrolifera. In alcune località del mondo i controlli sono superiori, altrove, come in Italia, arrivano tardi e c’è una spettacolare corruzione fra controllore e controllato. Ma i tentativi di avvelenare residenti e ambiente per risparmiare costi, esistono ovunque. E’ questa la triste verità dell’industria petrolifera: ancora più che i sussidi governativi i loro business lucrano con i sussidi non quantificabili delle nostre vite e del nostro ambiente. Ci avvelenano i polmoni ed i figli, ci deumanificano le coste con brutture industriali, puzze sulfuree insopportabili, e cozze e pesci tossici. Sono sicura che se si indagassero tutte le piattaforme d’Italia si troveranno concentrazioni elevate di materiale tossico in ciascuna di queste. E’ inevitabile. Prima ci lasciamo questo modus vivendi alle spalle, meglio sarà.

4. A Ragusa, allo scadere della concessione Vega A approvata nel 1984, hanno fatto richiesta per trivellare altri dodici pozzi nel quasi silenzio generale. Viene fuori adesso che dopo decenni attorno alla piattaforma Vega A ci sono elevate concentrazioni di metalli pesanti, idrocarburi policiclici aromatici, composti organici aromatici e MTBE e che non è possibile il totale ripristino ambientale. A Ravenna invece viene fuori che le cozze “sane” pescate vicino alle piattaforme erano invece state prese altrove. Quelle vere invece avevano altre concentrazioni, anche qui, di metalli pesanti e idrocarburi policiclici aromatici. Chi mangia quelle cozze? Anche qui, tutto questo è *normale* perché si tratta di infrastrutture che invecchiano, di sostanze tossiche e corrosive, e di controlli scarsi e difficili. Un giorno in più di proroga è un giorno in più di mare malato.

5. E se qualcuna delle trivelle ha incidenti o malfunzionamenti? Dalla piattaforma Paguro, da cui sono morte tre persone, non vogliamo veramente imparare niente? O vogliamo dimenticare la piattaforma Eni Temash incendiatasi nel 2004 solo perché è in Egitto? O del fatto che l’Eni-Saipem ha trivellato senza certificazioni? O che l’Eni in Norvegia ha ammesso una “lack of competence” nel trivellare i mari del nord? O vogliamo dimenticare che quando in Abruzzo ci furono perdite da Rospo Mare, prima si parlo’ di petrolio e *dopo quattro giorni* i petrolieri corressero la stampa parlando di erba e fango, come se loro stessi non fossero capaci di distinguere il petrolio dal fango immediatamente?

6. Non è vero che se non lo estraiamo noi lo faranno i Croati con magiche trivelle “a 45 gradi” come scrive qualche petrol-giornalista. Per tutto il parlare che si è fatto di petrolio in Croazia, i residenti dell’ex-Yugoslavia non hanno trivellato un solo pozzo. In Italia invece tiramo fuori petrolio dagli anni ’50 in Adriatico, senza chiedere niente a nessuno. Non sarebbe il caso di dare l’esempio e di decidere *assieme* ai croati di chiudere il mare nostrum ai petrolieri da ambo i lati?

7. Non è vero che diminuirà l’occupazione. Nessuna piattaforma chiuderà il 18 aprile. Per di più il lavoro petrolifero è altamente automatizzato e sono poche le persone che lavorano sulle piattaforme. Di contro, chi protegge il lavoro delle migliaia di pescatori che non sanno se pescano pesce o concentrati di monnezza tossica?

8. E se invece di preoccuparci di petrol-lavoro, ci preoccupassimo del lavoro green? La tendenza mondiale è di occupazione verde che cresce. In Canada gli ex lavoratori del petrolio chiedono di essere riqualificati per il lavoro nell’industria delle rinnovabili, negli Usa il lavoro nelle rinnovabili ha superato quello nell’industria petrolifera. E la cosa bella del lavoro verde è che spesso si tratta di piccole industrie, e quindi di ricchezza distribuita invece che di colossi e multinazionali. Invece di fare la guerra al referendum, perché il governo di Matteo Renzi non fa più politiche per incentivare le rinnovabili? L’uso di automobili elettriche? Il risparmio energetico? Nel 2014 il governo addirittura fece dei tagli retroattivi sugli impianti di energia verde, causando l’ira degli investitori stranieri e pure del Wall Street Journal.  Forse perché Matteo Renzi ha più petrol-amici che amore per le rinnovabili?

9. Giustificare le trivelle d’Italia perché “se non lo facciamo noi, lo faranno in Mozambico e in Nigeria” è una offesa al Mozambico e alla Nigeria, e a tutti quelli che vivono vicino a pozzi e trivelle e mare malato. Ai nigeriani non importa se trivelliamo Tempa Rossa o Ravenna o Ombrina. Ai nigeriani importa che il loro dolore cessi e che non debbano più respirare, mangiare e vivere petrolio.  A chi pensa cosi’ due cose dico. Intanto, se vogliamo proprio fare questo ragionamento, e allora dovremmo dire “se non lo facciamo nel giardino del mio condominio, lo faranno in Basilicata” e quindi che si aprissero loro un Centro Oli nelle loro città, o una FPSO nel loro mare. Andassero al mare a Falconara. E soprattutto. Se vi dispiace (ma veramente!) per la Nigeria e per il Mozambico, diventate attivisti per la Nigeria e per il Mozambico. Ce n’è tanto bisogno. E no, non è impossibile. Se l’ho fatto io dalla Calfornia per l’Italia, lo potete fare anche voi per il Mozambico e per la Nigeria. Ai politici che seguono questo pensiero dico: perché invece non mettete su delle commissioni d’inchiesta per studiare cosa esattamente l’Eni e l’Agip abbiano combinato in Nigeria, se veramente ci tenete? Non è distruggendo l’Italia che si migliora il resto del mondo. Invece di giocare al ribasso, miglioriamolo il pianeta.

10. Il pianeta muore per colpa nostra. Del nostro uso smodato di fonti fossili. Ogni giorno leggiamo di cambiamenti climatici che progrediscono e che alterano i delicati equilibri naturali. I ghiacciai che si sciolgono, le barriere coralline che muoiono, isole che scompaiono, gli oceani che si acidificano. Non è giusto. Da qualche parte si deve pur iniziare per cambiare le cose, e cercare di salvare il salvabile. L’Italia ha firmato decine di accordi da Kyoto a Parigi e sarebbe tutto vuoto se ci ostinassimo a trivellare il pianeta fino all’ultima goccia. Occorre invece affrontare la sfida energetica con coraggio: iniziamo da qui, dal 17 aprile.

Non c’è sfida alcuna davanti cui l’uomo non abbia messo tutta la sua intelligenza e il suo volere e non ci sia riuscito.
Possiamo farcela. Ce l’abbiamo sempre fatta.

Qui tutti i “criminal proceedings” dell’Eni in giro per il mondo, come dichiarato da loro stessi alla Security and Exchange Commission degli Usa per l’anno 2014. Ce n’è di tutti i colori

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