La decisione di non commissariare il comune non convince. Così come non convince il “monitoraggio” annunciato da Angelino Alfano. Non convince i membri dell’Antimafia né il prefetto, che il 7 agosto 2015 aveva chiesto che il comune di Sacrofano venisse sciolto per infiltrazioni mafiose, così come aveva fatto la commissione di accesso agli atti inviata l’8 gennaio nel piccolo comune sulla via Flaminia per capire quanto Massimo Carminati e il sodalizio di Mafia Capitale fossero capace di condizionare l’amministrazione guidata da Tommaso Luzzi. L’ex presidente e amministratore delegato di Astral ed esponente storico del Movimento Sociale che, stando alle carte dell’inchiesta, nel maggio 2013 il capo della cupola capitolina decide di mettere a capo dell’amministrazione comunale: “Me serve lì in zona da noi come sindaco.

L’ultimo a esprimere dubbi sulla decisione del ministro dell’Interno è stato Claudio Fava, vicepresidente dell’Antimafia, che il 4 aprile ha firmato l’interrogazione a risposta scritta 4-12727 indirizzata al Viminale: “Si è ritenuto – scrive il deputato di Sinistra Italiana– di affidare la tutela ed il ripristino della legalità nel comune di Sacrofano all’istituto giuridico del «monitoraggio», peraltro da remoto“. Tuttavia “il «monitoraggio» disposto dal Ministero dell’Interno si riferisce all’attività futura della suddetta amministrazione ma non permette di verificare – come previsto dall’articolo 143 del Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali – «se emergono concreti, univoci e rilevanti elementi su collegamenti diretti o indiretti con la criminalità organizzata di tipo mafioso o similare degli amministratori (…), ovvero su forme di condizionamento degli stessi»”.

La soluzione scelta da Alfano, quindi, (rimuovere due dirigenti e attivare “presso la prefettura di Roma un gruppo di esperti composto da personale del Ministero dell’Interno con esperienze di accesso presso enti locali della Campania e della Calabria per un costante monitoraggio”) non permette di capire se Carminati – che nel paesino alle porte di Roma viveva e aveva la sua base logistica – aveva condizionato l’amministrazione comunale dopo aver deciso di far eleggere sindaco Tommaso Luzzi. Una “capacità coercitiva dell’organizzazione” di cui parlano gli inquirenti nell’ordinanza di custodia cautelare del dicembre 2014, esemplificata come meglio non si potrebbe dallo stesso Carminati: Luzzi “non può fare nulla – spiega il boss all’imprenditore Agostino Gaglianone il 18 aprile 2014 – perché i soldi vengono dalla Regione, se lui non fa quello che dimo noi, Luca (Gramazio, capogruppo del Pdl, ndr) gli blocca tutto”. Ovvero i fondi della Pisana.

“Tutto ciò  – spiega ancora il numero due dell’Antimafia – nonostante il prefetto di Roma Franco Gabrielli abbia più volte ribadito il suo convincimento circa la necessità di commissariare il comune di Sacrofano”. Cosa che Gabrielli ha ribadito con una nota inviata a IlFattoQuotidiano.it dopo l’articolo pubblicato il 16 marzo: “Come chiaramente stabilito dall’art. 143 del T.U. degli Enti Locali – recita il testo inviato dall’ufficio stampa del prefetto – la decisione circa i provvedimenti da adottare nei confronti dei Comuni ispezionati a fine di prevenzione ‘anti mafia’ fuoriesce dall’orizzonte e dalla disponibilità del Prefetto”. Le cui “proposte formulate in merito il 7 agosto 2015 non sono state mai modificate o ritirate“. Tradotto: Gabrielli ha ritenuto che ci fossero le condizioni per lo scioglimento del Comune e aveva chiesto si procedesse in questa direzione, ma Alfano ha deciso di non sciogliere.

E di procedere con un “monitoraggio dei comuni di S. Oreste, Sacrofano e Morlupo. Queste tre amministrazioni verranno controllate negli ambiti più sensibili fino al mese di dicembre prossimo e anche oltre, se sarà necessaria una proroga della misura”, spiegava il titolare del Viminale in audizione in commissione Antimafia il 15 marzo. Un monitoraggio di cui, a distanza di 20 giorni, al comune di Sacrofano nessuno sa ancora nulla.

Non solo: a palazzo San Macuto il ministro non spiegava perché ha ritenuto di rivedere la posizione di Sant’Oreste e di Morlupo, comuni per i quali i procedimenti erano stati dichiarati chiusi da tempo con decreto dello stesso ministero, come previsto dall’articolo 143 del Tuel. E come si legge sul sito del ministero, nell’apposita sezione, intitolata “Insussistenza dei presupposti per lo scioglimento degli enti locali per condizionamento mafioso, dove vengono pubblicati i decreti con i quali il ministero certifica la fine dei procedimenti: per Sant’Oreste il decreto di archiviazione porta la data dell’11 novembre 2015, il procedimento su Morlupo era stato dichiarato concluso il 28 ottobre.

La prima a sollevare dubbi sul ritardo con cui il Viminale ha affrontato la questione era stata la presidente dell’Antimafia, Rosy Bindi, che il 26 gennaio in commissione – durante l’audizione di Gabrielli – aveva avanzato una richiesta: Morlupo e Sacrofano “sono realtà che necessitano di un monitoraggio dal quale si possa prevedere la nomina di nuove commissioni d’accesso”, spiegava la Bindi. In particolare a Sacrofano “il monitoraggio deve esser particolarmente penetrante e potrebbe portare ad ulteriori approfondimenti”. “Abbiamo ascoltato sul comune di Sacrofano la commissione d’accesso – le faceva eco il 15 marzo il senatore del Pd Stefano Espositoa nostro avviso, le condizioni per uno scioglimento sembrano esserci”. Il 22 marzo era la volta del deputato M5S Francesco D’Uva: “Su Sacrofano avrei voluto chiedere al ministro (Alfano, ndr) di rivedere la sua posizione perché riteniamo che lì la situazione sia molto più drammatica di quanto si pensi”.

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