Tagliare i ponti con Vicenza è un’opzione, ma non una way out per Cattolica Assicurazioni che, alla vigilia dell’assemblea per l’approvazione del bilancio e per il rinnovo delle cariche sociali, si ritrova a dover fare i conti con operazioni del recente passato difficili da spiegare. La Popolare di Vicenza è di gran lunga il primo azionista di Cattolica Assicurazioni (ha oltre il 15% del capitale) ed è legata alla compagnia veronese da qualcosa di più di una semplice partnership bancassicurativa, tanto da esprimere per statuto due consiglieri d’amministrazione e un sindaco. La stessa Cattolica Assicurazioni è poi azionista della popolare vicentina e ha raddoppiato la propria quota portandola allo 0,92% in occasione dell’ultimo aumento di capitale della banca.

Un legame stretto, anzi strettissimo, che anche alla luce delle vicende che hanno travolto l’istituto vicentino e sostanzialmente azzerato il valore delle azioni in mano ai soci avrebbe dovuto mettere in allarme l’Ivass, l’autorità di vigilanza sulle assicurazioni guidata dal direttore generale della Banca d’Italia, Salvatore Rossi. Invece Rossi e i suoi uomini, almeno ufficialmente, non si sono peritati di capire cosa stesse accadendo in quel travagliato 2014, quando Popolare di Vicenza prima, e Cattolica Assicurazioni poi, hanno varato due maxi-ricapitalizzazioni. Rispettivamente, 1 miliardo e 500 milioni.

Di modalità e motivazioni dell’aumento della popolare all’epoca guidata dal duo Zonin-Sorato ormai si sa tutto, o quasi, illeciti compresi. Sulle motivazioni che hanno invece spinto Cattolica ad aumentare il capitale, e a farlo con modalità estremamente penalizzanti per i soci, è ancora buio fitto, né risulta che l’Ivass abbia chiesto ragguagli in merito nonostante i circostanziati esposti presentati dagli azionisti di minoranza nel corso del 2015 e di cui ha dato conto il sito Linkiesta. E’ vero che Cattolica è una società quotata in Borsa e che la maggior parte dei rilievi mossi dai soci di minoranza riguardano possibili violazioni del Testo Unico della Finanza – e infatti per una volta la Consob si è attivata subito chiedendo dettagliate informazioni alla società, avviando un’istruttoria per accertare eventuali abusi di mercato e, da ultimo, inviando le Fiamme Gialle a perquisire la sede di Banca Imi che, assieme a Mediobanca, ha coordinato l’aumento di capitale di Cattolica.

E’ altrettanto vero, però, che la vigilanza sulle compagnie, come recita l’articolo 5 del codice delle Assicurazioni, ha per scopo “la sana e prudente gestione delle imprese di assicurazione e di riassicurazione e la trasparenza e la correttezza dei comportamenti delle imprese, degli intermediari e degli altri operatori del settore assicurativo, avendo riguardo alla stabilità, all’efficienza, alla competitività ed al buon funzionamento del sistema assicurativo”. Possibile che a fronte di un aumento di capitale da 500 milioni di euro effettuato con uno sconto del 37% sul prezzo teorico (Terp), cioè un livello di sconto simile a quello degli aumenti di Montepaschi (35%) e Carige (40%), all’Ivass non sia suonato un campanello d’allarme? Perché una società sana come era ed è Cattolica decide di varare un aumento di capitale a forte sconto ed estremamente diluitivo (21 nuove azioni ogni 10 possedute) come se versasse in grave crisi e necessitasse di un’immediata iniezione di risorse finanziarie? Possibile che ad oggi non si sappia a cosa sia servito l’aumento che avrebbe dovuto essere finalizzato a “sostenere la crescita del business, finanziare la trasformazione industriale e gli investimenti in tecnologia e cogliere opportunità di acquisizione e di partnership”?

Gli azionisti di minoranza hanno una tesi suggestiva su come siano andate davvero le cose, una tesi che chiama in causa proprio gli stretti legami tra Cattolica e Popolare di Vicenza e non certo la solidità di Cattolica che – anche alla luce dei risultati di bilancio 2015 – pare indiscutibile: il margine di solvibilità è di 189, quasi il doppio dei requisiti richiesti, e il bilancio chiude con 61 milioni di utile netto. Dunque? Negli esposti si critica duramente la decisione di Cattolica di non limitarsi a sottoscrivere pro-quota l’aumento di capitale della Popolare di Vicenza, ma di esercitare il diritto di prelazione sulle azioni inoptate (sottoscritte a 62,5 euro), portando la partecipazione al capitale della banca dallo 0,45% allo 0,92% per un esborso di 27,6 milioni di euro. Un investimento che a pochi mesi di distanza subirà una drastica svalorizzazione per effetto del primo taglio al valore delle azioni deciso dalla banca e che oggi si è praticamente azzerato. Ma non è tanto o solo questo il punto.

Secondo gli azionisti di minoranza di Cattolica, la decisione di aumentare la quota nella banca di Zonin risponde “all’interesse di favorire un socio rilevante della Società, tra l’altro fornendogli la provvista per un successivo aumento di capitale promosso da Cattolica, e tali comportamenti potrebbero essere stati reiterati con riferimento a precedenti operazioni di sottoscrizione e/o di acquisto di obbligazioni emesse dalla banca stessa”. Non solo: nell’esposto viene segnalato anche che l’operazione è stata condotta in violazione delle norme che regolano le operazioni con parti correlate. Si tratta di accuse pesanti, ma anche molto ben circostanziate. Possibile che l’Ivass non abbia sentito l’obbligo di approfondire la questione perlomeno per i profili che riguardano “la sana e prudente gestione delle imprese di assicurazione”?

C’è di più: gli azionisti di minoranza denunciano come la decisione di aumentare il capitale di Cattolica, le modalità dell’annuncio e le condizioni estremamente penalizzanti per i soci abbiano determinato un crollo in Borsa del titolo e, ben lungi dal sostenere la crescita del business o dall’effettuare acquisizioni, l’aumento sia servito in realtà a favorire chi voleva rafforzarsi all’interno della compagine sociale a scapito degli altri. Per la cronaca il 9 dicembre 2014, ad aumento di capitale concluso, la Banca popolare di Vicenza ha comunicato di aver incrementato la propria quota in Cattolica dal 12,38 al 15,07%. E ancora, a proposito di trasparenza, i 500 milioni raccolti dalla compagnia con l’aumento di capitale sono stati depositati su un conto corrente della Popolare di Vicenza e, nonostante reiterate richieste volte a sapere se e come tali somme siano state remunerate, Cattolica non ha mai risposto.

A fine 2014, uno dei momenti più acuti della crisi della Vicenza, Cattolica aveva in deposito presso la banca 458 milioni di euro. A rigor di logica tutte queste cose l’Ivass dovrebbe conoscerle bene e, anzi, sui rapporti e sugli intrecci tra Popolare Vicenza e Cattolica Assicurazioni dovrebbe sapere ben di più proprio per il suo ruolo di vigilanza e di regolazione del settore. E se per qualche circostanza l’Ivass non l’avesse saputo, la Banca d’Italia – di cui l’Ivass è una costola – avrebbe potuto utilmente allertarla data la mole di lavoro e di controlli che il governatore Ignazio Visco asserisce di aver svolto negli anni sulla popolare vicentina. In quelle carte, però, dei rapporti con Cattolica stranamente non si fa menzione, così come di tante altre cose che sono venute alla luce solo quando la vigilanza su Vicenza è passata alla Bce. Non a caso su Via Nazionale sono piovute critiche aspre, accuse di omessa vigilanza e di favoritismi nei confronti di Zonin e della sua banca che, tra l’altro, ha generosamente accolto importanti ex dirigenti dell’istituto centrale e – altrettanto generosamente – ha anche acquistato al prezzo richiesto (e fuori mercato) la sede di Vicenza di Bankitalia. Può l’Ivass, istituto presieduto dal direttore generale della Banca d’Italia, essere immune da questo tipo di influenze e dalla scomoda eredità dell’Isvap di Giancarlo Giannini (quello dello scandalo FonSai), da cui proviene la quasi totalità del personale?

Comunque sia, l’assemblea di Cattolica si avvicina mentre il mercato continua a punire il titolo, ormai sui minimi dell’anno. Per uscire dal pantano degli intrecci con la Vicenza della gestione Zonin non basterà sciogliere anticipatamente il patto tra le due società facendo valere la trasformazione in spa della Popolare e liquidando la quota (nel caso di Veneto Banca, Cattolica ha già esercitato il diritto di recesso), ma – grazie anche al fiato sul collo da parte della Consob – occorrerà dare agli azionisti e al mercato le risposte che attendono ed essere pronti a sopportarne le conseguenze.

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