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D: Sei davvero uno studente?
R: Sì. (FALSO)
D: Dimmi dei tuoi studi.
R: Faccio chimica all’Università del Cairo. (VERO) Mi interesso di polimeri. (VERO) Voglio diventare ingegnere chimico. (FALSO)
D: Come ti chiami?
R: Ve l’ho detto, Towfik el Masiri. (FALSO)
D: I sensori che ti sono stati attaccati alla testa e al torace misurano il polso, il battito del cuore, la respirazione e la traspirazione. Se non di- ci la verità, il tuo metabolismo ti tradisce – respiri più in fretta, sudi di più, e così via. Questa macchina che ci è stata fornita dai nostri amici russi, mi dice quando tu menti. Inoltre, si dà il caso io sappia che To- wfik el Masiri è morto. Chi sei?
R: (nessuna risposta).
D: Il filo legato alla punta del tuo pene fa parte di un’altra macchina. È collegato a questo pulsante. Quando premo il pulsante…
R: (urlo)
D: la corrente elettrica passa attraverso il filo e ti dà la scossa. Ti abbiamo messo i piedi in un secchio d’acqua per migliorare l’efficienza dell’apparecchio. Come ti chiami?
R: Avram Ambache.

L’apparecchio elettrico interferisce col funzionamento della macchina della verità.

D: Prendi una sigaretta.
R: Grazie.
D: Che tu ci creda o no, odio questo lavoro. Il guaio è che la gente cui piace non è capace – bisogna avere sensibilità, sai, io sono una persona sensibile… Odio veder soffrire le persone. E tu?
R: (nessuna risposta)
D: Ora stai cercando di pensare a come resistermi. Per favore non agitarti. Non c’è difesa contro le moderne tecniche di intervista. Come ti chiami?
R: Avram Ambache. (VERO)
D: Chi è il tuo punto di riferimento?
R: Non so cosa vuoi dire. (FALSO)
D: È Bosch?
R: No, Friedman. (LETTURA INCERTA)
….

D: Tu pensi che, mentre soffri sentendo la scossa, la macchina della verità non funzioni correttamente, e ne concludi che ci sia salvezza nella tortura. Hai ragione solo in parte. Questa è una macchina molto sofisticata, e io ho impiegato molti mesi per imparare a usarla nel modo giusto. Dopo che ti ho dato una scossa, ci vogliono solo pochi istanti per riadattare la macchina al tuo metabolismo che si è fatto più veloce; e quindi posso dire ancora una volta quando stai mentendo. Come tieni i contatti?
R: Una lettera giacente – (urlo)
D: Alì! Ha tirato fuori i piedi – queste convulsioni sono molto forti. Legalo di nuovo, prima che rinvenga. Prendi quel secchio e mettici più acqua. (pausa) Si sta svegliando, esci. Mi senti, Towfik?
R: (indistinta)
D: Come ti chiami?
R: (nessuna risposta)
D: Un colpetto per aiutarti – R: (urlo)
D: – a pensare.
R: Avram Ambache.
D: Qual è la tua professione?
R: Sono studente. No, per favore, non farlo, una spia, sì, sono una spia, non toccare il pulsante per piacere, oddio, oddio.

Questa scena di tortura ambientata al Cairo e tratta da “TRIPLO” il best-seller di KEN FOLLETT (Triple, 1979) anticipa profeticamente non solo la terribile fine di Giulio Regeni ma anche quella di centinaia di oppositori o di presunti oppositori del regime instaurato da Al Sisi per schiacciare e contenere la terrificante repubblica islamica dei Fratelli Musulmani. Secondo l’ong Nadeem Center, che il governo egiziano vorrebbe chiudere, solo nel 2015 sono avvenuti 464 casi di sparizioni forzate e 1.676 casi di tortura. Di questi 500 hanno condotto alla morte del prigioniero. Dal gennaio del 2016, i casi di tortura sono già 88 e in 8 casi il “paziente” è morto sotto i ferri. Regeni è stato incidente di percorso, un ‘danno collaterale’ del Leviatano che gestisce la repressione spostando il prigioniero da un apparato all’altro, da una camera di tortura all’altra, sempre più feroce.

Se mai verrà indicato un ‘responsabile’ sarà solo per poter garantire la continuità della macchina, per mostrare che, come ha detto Al Sisi, “quello di Regeni è unn caso isolato”. La frase più terribile pronunciata dalla madre di Regeni è stata: “Lo hanno ucciso come un egiziano”. Frase con cui Paola Regeni si è rialzata dalla sua tragedia personale ed è riuscita a “continuare il lavoro” di suo figlio chiedendo che si parli anche di tutte le altre vittime. Secondo la lettera anonima (ma ben informata) giunta a Repubblica, Giulio Regeni è morto da eroe, dopo aver rifiutato, per tre giorni, di dire i nomi e le intenzioni dei sindacalisti che aveva incontrato. Edward Luttwak, che in tv avallò la tesi dei servizi segreti di un omicidio a sfondo sessuale, dovrebbe chiedere scusa alla sua famiglia.

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