‘Valorizzare’. Non mi stancherò di ripeterlo: è una parola che mi fa venire i brividi. Valorizzare le nostre coste o le nostre montagne vuol dire semplicemente fargli perdere la naturalità consentendo di costruire. Valorizzare il patrimonio artistico e culturale del paese vuol dire semplicemente disfarsene: farlo transitare da bene pubblico a bene privato. Quasi che il bene non abbia un valore in sé, ma possa invece acquistarlo mettendolo a reddito e consentendone poi di fatto lo snaturamento. Torino è esemplare in tal senso: la città vende beni pubblici per coprire i buchi di bilancio. Derivanti anche dalle tanto osannate Olimpiadi del 2006, di cui ha celebrato in questi giorni il decennale. Ed esemplare nell’esemplare è il caso di un bene fra i tanti di cui la municipalità si vuole disfare, e cioè la Cavallerizza Reale. Un complesso monumentale ubicato in pieno centro storico, dietro al Teatro Regio. Esemplare perché essa è un quid unicum: un bene risalente al 1740, vincolato dall’Unesco con provvedimento in data 1° giugno 1997, insieme a tutte le residenza sabaude. Breve cronistoria.

Cavallerizza

In data 15 aprile 2003 il Comune di Torino sigla un protocollo di intesa col Ministero dell’Economia e delle Finanze per l’acquisizione di tutto il complesso della Cavallerizza Reale, con lo scopo di destinarlo – si noti bene – ad “esigenze istituzionali proprie”. Ma le “esigenze istituzionali proprie” si rivelano ben presto una burla. Infatti, nel 2005 il Comune chiede alla Soprintendenza per i beni architettonici del Piemonte, l’autorizzazione alla vendita che ovviamente viene concessa in data 1° agosto 2005 con un provvedimento di autorizzazione all’alienazione contestuale alla dichiarazione di interesse.

Nell’anno 2007 si completa il trasferimento dallo Stato al Comune di Torino, che si impegna all’acquisto per 37 milioni di euro. Alla fine del 2009, il Comune, con il bilancio sempre più in passivo anche grazie alla predetta eredità olimpica, cede la Cavallerizza alla Società Cartolarizzazione Città di Torino (CCT s.r.l.), di cui il Comune stesso è socio unico. E’ il primo passo formale verso la cessione ai privati del bene.

Nel 2010, il Comune approva la Variante 217, che prevede la possibilità di realizzare all’interno del complesso vincolato un 50% di residenze, oltre che una quota di attività ricettive e commerciali. In realtà, la quota del 50% è considerata flessibile in aumento e ciò è confermato da due successive delibere comunali del 2012 e 2013. Nel mese di aprile 2015 la Giunta Regionale approva un protocollo d’intesa fra Regione Piemonte, Città di Torino, Soprintendenza, Archivio di Stato, Università degli Studi, Edisu, Compagnia di San Paolo, Fondazione Teatro Stabile, Fondazione Teatro Regio, Accademia di Belle Arti e CCT s.r.l., “per la valorizzazione di porzione del complesso “ex Cavallerizza Reale” ed edificio “ex Zecca” di Torino”.

Esemplare come esordisce il documento: “Il patrimonio immobiliare del settore pubblico costituisce un valore sociale ed economico di fondamentale importanza per il Paese, presenta ampie zone di potenziale valorizzazione e può diventare un fattore di crescita per l’economia”. Altrimenti detto: il patrimonio pubblico è buono per fare cassa! Infatti, subito dopo, la società Homers s.r.l. viene delegata dalla Compagnia di San Paolo per redigere uno studio economico e di destinazione sul futuro della Cavallerizza.

Ma facciamo un passo indietro. Il complesso della Cavallerizza giace nel degrado e nell’abbandono. La notizia di tale stato ed il pericolo che la cittadinanza sia privata di un bene che le appartiene provoca una forte reazione:  un gruppo di compagnie teatrali divulga un appello per un’assemblea da tenersi davanti allo stabile, assemblea che si tiene il 23 maggio 2014 ed a cui partecipano circa trecento persone. Qualcuno dei presenti propone di chiamare l’assemblea come l’orologio della Cavallerizza, fermo sulle ore 14.45. Proposta approvata: nasce l’Assemblea Cavallerizza 14:45, con l’intento di far ripartire l’orologio. L’assemblea decide di occupare lo stabile ed appunto di conferirgli nuova vita.

Da allora la Cavallerizza è rimasta occupata ed è sede di iniziative culturali aperte a tutta la cittadinanza. Per il mantenimento dello status di bene pubblico si sono spese diverse personalità della cultura, da Tomaso Montanari a Gustavo Zabrebelski, da Salvatore Settis a Paolo Maddalena. L’Unesco è stata informata del fatto che un bene patrimonio dell’umanità rischia di diventare un bene patrimonio di privati.

Dal mese di marzo è stata altresì costituita un’associazione (“SalviAMO Cavallerizza”) col seguente scopo precipuo: “La conservazione e la libera fruizione del complesso della Cavallerizza Reale, patrimonio della città e dell’umanità, affinché questo sia rimosso dal programma di cartolarizzazione e la proprietà rimanga pubblica, affinché sia sempre un luogo aperto ed accessibile a tutti i cittadini e la destinazione degli immobili sia legata ad una funzione pubblica, culturale e ad una fruizione collettiva, affinché ne sia conservata e potenziata la valenza socio-culturale e la natura di luogo di aggregazione,  e il suo futuro venga deciso insieme ai cittadini attraverso processi partecipativi”.

A questo punto vedremo chi vincerà: se una amministrazione che vuole disfarsi di un bene che appartiene alla collettività, od i cittadini che vogliono salvaguardarlo e ridargli nuova vita.

Val la pena di chiudere con un sorriso. L’assessore al Bilancio Gianguido Passoni della giunta Fassino ha avuto l’ardire di affermare, con una buona dose di involontario umorismo, a proposito degli occupanti la Cavallerizza: “Stanno privatizzando un bene pubblico”!

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