Renzi fu il primo leader europeo a recarsi al Cairo dopo la presa di potere del generale al Sisi definendolo un grande leader.  Tra i due venne ribadita la comunanza di interessi in economia e politica estera. Intanto nel 2014 proprio Matteo Renzi accolse a Roma al Sisi come colui che avrebbe aiutato l’Occidente a sconfiggere il terrorismo e il radicalismo islamico grazie alle scuole e soprattutto all’educazione. Nell’attesa però di scoprire la verità sulla morte di Regeni ci sono altre verità ancora più scomode e non più sottaciute. I rapporti tra Italia ed Egitto hanno avuto finora l’obiettivo di rafforzare soprattutto il legame con la lobby militare egiziana. Nel 2014 l’Italia ha fornito alle forze di polizia egiziane 30mila pistole, mentre nel 2015 ha inviato in Egitto altri 1.236 fucili a canna liscia.

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Di fatto l’Italia è l’unico paese dell’Unione europea che, dalla presa del potere del generale al-Sisi, ha inviato armi. Non si tratta solo di meri scambi commerciali, ma significa sostenere direttamente l’operato delle forze di polizia e di sicurezza in quel determinato Paese. Da quando il generale al-Sisi è salito al potere, ci sono stati centinaia di casi di sparizioni. La tortura è praticata abitualmente nelle stazioni di polizia e nelle carceri, compresi i centri segreti di detenzione. Il portavoce di Amnesty International Italia, Riccardo Noury, ha ricordato che nel 2015 i casi accertati di tortura da parte di polizia e servizi segreti sono stati 1.176, quasi 500 terminati con la morte dei prigionieri (dati Centro el-Nadeem). Gli atti di tortura nel caso Regeni, qualora fossero stati commessi da funzionari dell’intelligence, deviata o meno, sarebbero imputati all’Egitto. Se si volesse mantenere la questione a livello bilaterale, l’Italia potrebbe lamentare la violazione di una norma internazionale, pretendere la punizione dei responsabili e il risarcimento del danno.

Alternativamente si potrebbe convenire in giudizio l’Egitto di fronte ai tribunali italiani per far constatare la commissione di un crimine internazionale e chiedere il risarcimento. Di certo tra Italia e Egitto non c’è solo il business delle armi. In Egitto operano più di 100 aziende italiane tra cui l’Edison, Banca Intesa San Paolo, che nel 2006 ha comprato Bank of Alexandria per 1,6 miliardi di dollari. Poi Italcementi, Pirelli, Italgen, Danieli Techint, Gruppo Caltagirone, e molti altri. Soltanto nel 2014 l’interscambio Italia-Egitto valeva 5,18 miliardi. Ma la novità più importante oggi è Zhor, il super-giacimento di gas da 850 miliardi di metri cubi scoperto da Eni. Il gas non sarà in produzione prima del 2018 o 2019. Il picco di estrazione dovrebbe essere raggiunto nel 2024 per incominciare ad esaurirsi verso il 2040. In gran parte sarà un lavoro dell’Eni. Un’ammissione di colpa da parte delle autorità egiziane sul caso Regeni significherebbe pagare un prezzo alto che potrebbe trascinare nel baratro in primis al Sisi. Ecco perché nonostante il coraggio straordinario della madre di Regeni l’Egitto potrebbe non confessare la verità e lo stesso Renzi defilarsi per via della sua compromettente posizione con il numero uno egiziano. Al massimo nella migliore delle ipotesi si troverà una sorta di esecutore materiale casuale in modo da far cadere rapidamente tutto nell’oblio. C’è poi infine il problema spinoso dei Fratelli Musulmani in Libia, sempre più implosiva e parte integrante di uno scacchiere geopolitico dove sia l’Egitto che l’Italia stanno cercando di avere un ruolo.

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