Tra pochi giorni potrà esibire i documenti senza più imbarazzo per quel nome e quell’identità da uomo che non gli appartenevano. E questo senza passare dalla sala operatoria. La storia arriva da Savona e la segnala la Rete Lenford, associazione di avvocati che difende e promuove i diritti lgbt. Qui il 30 marzo il tribunale ha ordinato la rettifica immediata dei dati anagrafici di una transessuale di 40 anni, che ancora non ha subito l’intervento chirurgico di cambio sesso.

La sentenza è una delle prime in Italia a fare proprie le indicazioni della Corte Costituzionale del novembre scorso, secondo cui non è obbligatoria l’operazione per ottenere la modifica dei dati anagrafici. Non solo: il tribunale di Savona recepisce il principio espresso dalla Corte di cassazione nel 2015 che a luglio, con una sentenza definita “storica” dalle associazioni lgbt, ha stabilito l’irrilevanza dell’intervento chirurgico per la trasformazione dell’atto di nascita e per la rettifica dei dati nei registri. Fino ad allora i tribunali avevano sempre consentito la modifica dei documenti solo dopo gli interventi di “demolizione chirurgica”. Una sorta di passaggio obbligato, contestato da realtà come il Mit, il Movimento d’identità transessuale, che da sempre rivendica il diritto a decidere del proprio corpo e a vivere la propria identità, senza sottoporsi per forza a complicate operazioni in ospedale.

Per questo il caso di Savona fa esultare le associazioni lgbt. In sintesi, spiegano legali della Rete Lenford, il tribunale ha accertato, con l’aiuto di una consulenza tecnica, che il contrasto e la distanza tra il proprio aspetto e documenti anagrafici porta un danno al benessere psicologico. “La discrepanza tra l’attuale aspetto esteriore (e il vissuto identitario) dell’interessata – si legge nella sentenza – e i suoi documenti anagrafici comporta uno stato di sofferenza interiore e sia un reale impedimento a potersi vivere e progettare nella realtà con la dovuta serenità”. Inoltre l’intervento chirurgico, che la transessuale intende comunque fare, “necessiterà di tempistiche non ben definite ma sicuramente non immediate”. Dunque, potrà diventare donna davanti alla legge anche prima di entrare in ospedale.

La transessuale, assistita dall’avvocato Ilaria Gibelli, aveva deciso di rivolgersi al tribunale nel 2014 per chiedere l’autorizzazione all’operazione di cambio sesso e la modifica dei dati burocratici, dopo una vita passata nei panni di un uomo, un matrimonio e tre figlie. “Pur essendo un uomo dal punto di vista anatomico – viene ricostruito nella sentenza – ha percepito fin dall’infanzia il proprio aspetto esteriore come un ostacolo al convincimento psichico di essere donna. Le responsabilità familiari e le convenzioni sociali l’hanno portato inizialmente a celare la propria identità, finché tale costrizione non è diventata insopportabile”.

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