Bernardo Provenzano resta al 41 bis. Perché, nonostante da quasi due anni sia ricoverato nel reparto detenuti dell’ospedale San Paolo di Milano in stato quasi vegetativo, il ministro della Giustizia Andrea Orlando ritiene che il padrino rappresenti ancora una minaccia. Per questo ha firmato il rinnovo del carcere duro per il capomafia, come apprende l’Adnkronos. Niente sconti, dunque, per il boss stragista di Corleone, a dieci anni esatti dal suo arresto, avvenuto l’11 aprile del 2006, in una masseria del corleonese.

Secondo il Guardasigilli “non è venuta meno la capacità di Provenzano di mantenere contatti con esponenti tuttora liberi dell’organizzazione criminale di appartenenze, anche in ragione della sua particolare concreta pericolosità“. Anche se in tre diversi processi la sua posizione è stata stralciata e la sua posizione da imputato è stata sospesa proprio per le sue gravi condizioni di salute. Tra questi c’è il processo sulla trattativa tra Stato e mafia.

Già nei mesi scorsi la Corte di Cassazione aveva confermato, dopo l’ennesimo ricorso della difesa di Provenzano, il carcere duro per il boss mafioso. Nonostante le patologie di cui soffre il padrino – condannato all’ergastolo – siano “plurime e gravi di tipo invalidante“. La stessa Cassazione aveva rilevato il decadimento cognitivo, i problemi dei movimenti involontari, l’ipertensione arteriosa, un’infezione cronica del fegato, oltre alle conseguenze degli interventi subiti da Provenzano per lo svuotamento di un ematoma da trauma cranico, per l’asportazione della tiroide e per il tumore alla prostata. La Cassazione aveva trovato corretto il verdetto di merito dato che Provenzano “risponde alle terapie“.

Il parere positivo per la proroga del 41 bis arriva dalla Direzione nazionale antimafia, diretta da Franco Roberti. Secondo la Dna “in nessun modo la modifica del regime del 41 bis può incidere sulle condizioni di salute di Provenzano”. Anzi. “Nel vigente regime detentivo egli ben possa usufruire di tutte le cure necessarie”.

Contrari al carcere duro per Provenzano, ancora una volta, sono le Procure di Caltanissetta e di Firenze, mentre per la prima volta, la Dda di Palermo, diretta da Francesco Lo Voi, ha dato parere positivo. Secondo la Dda di Caltanissetta, come si legge nella relazione del ministro della Giustizia, il boss non dovrebbe continuare a stare al 41 bis per “le sue particolari condizioni di salute in cui versa”. La Dda di Firenze “pone alla base il fatto che non sono in corso indagini, nell’ambito del territorio di sua competenza, che riguardano direttamente o indirettamente Provenzano, o il contesto criminale a lui riferibile”. Invece, la Dda di Palermo, a differenze delle altre due Procure, di Caltanissetta e Firenze (che indagano sulle stragi mafiose), “ha affermato che – si legge nella relazione – per una migliore valutazione della necessità del rinnovo del regime detentivo speciale nei confronti di Provenzano, occorre delineare la sua figura e il suo ruolo nell’associazione mafiosa Cosa nostra”.

Tutto questo avviene esattamente a dieci anni di distanza dall’arresto di Bernardo Provenzano, arrivato dopo una latitanza quarantennale. Ad arrestarlo erano stati gli investigatori del Servizio centrale operativo e della squadra mobile di Palermo che per anni avevano tenuto sotto controllo tutti i movimenti compresi quelli dei pizzini e dei pacchi inviati per mezzo di una serie di persone che facevano la staffetta per consegnarli. L’ultimo pacco, con gli indumenti puliti, era stato inviato la mattina dell’11 aprile 2006 dalla moglie a Provenzano. “Abbiamo visto una porta aprirsi e un braccio allungarsi per prendere il pacco – raccontavano gli investigatori – e questo ci ha dato la conferma che l’imprendibile capo della mafia era lì e siamo intervenuti”.

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