L’abbiamo intercettata al volo, mentre è alle prese con la nuova serie di Report, da domenica sera su Rai 3. Milena Gabanelli è impegnata a preparare la prima puntata che si occuperà di Confindustria: quanto è moderna, flessibile, indipendente e trasparente l’associazione di imprenditori che dovrebbe essere il motore economico del Paese? Lo scopriremo tra qualche giorno. Intanto ci occupiamo di informazione e conformismo.

Cosa pensa dell’operazione Stampa-Repubblica? Di questa fusione tra due dei più importanti quotidiani italiani non si è praticamente parlato. Eppure pone problemi, anche di concorrenza.
Immagino che ci siano delle ragioni economiche, e come avviene in ogni fusione, salteranno un po’ di teste; mentre se è vero che le testate manterranno l’autonomia editoriale, per i lettori nulla cambia. Per quel che riguarda la concorrenza direi che quel che manca non sono i giornali, ma gli editori puri e anche un po’ illuminati.

Giulio Anselmi ha detto: raramente i giornalisti sanno di cosa parlano (e dunque non fanno domande). Da cosa dipende questo, secondo lei?
Per sapere di cosa parli serve tempo, che mal si concilia con la necessità di riempire pagine alla velocità della luce, su qualunque argomento.

Il tipo di giornalismo che fa lei è difficile, presuppone ricerche, approfondimenti, studio. C’è anche una pigrizia diffusa, di cui ha parlato Ferruccio de Bortoli, o è più l’accontentarsi delle favolette che raccontano?
Credo sia più complicato di così. Certo ci sono i pigri e quelli a cui semplicemente piace compiacere, ma quello che spesso frena è la “fatica” di sostenere il meccanismo che si innesca quando non ti accontenti della “favoletta”, fatto di odiose telefonate al tuo direttore e diffide preventive. Se devi passare metà del tuo tempo a giustificarti o a rispondere ai legali o ai portavoce, capisco che possa anche passare la voglia. In altre parole, non mi piace buttare la croce addosso ai colleghi, la linea la dà il direttore: se sprona e difende i suoi giornalisti, faranno bene il loro mestiere, altrimenti si limiteranno al “compitino”. Nelle scuole di giornalismo io vedo ragazzi molto motivati, che scelgono questo mestiere perché pensano che possa aiutare a migliorare il mondo, e hanno voglia di mettersi in gioco… Poi la realtà li spompa.

Nel suo libro Le inchieste di Report ha scritto: “In questo Paese ministri e imprenditori parlano solo con i giornalisti amici. Eppure usano spesso la parola ‘libertà’. Ma se ti prendi la libertà di critica, ti trascinano in tribunale”. Quanto pesano psicologicamente – e quindi di riflesso sul lavoro – le minacce di cause come quelle di Ferrovie o Eni?
Pesano. Non saprei dire quanto perché l’uomo è un animale che si abitua alle avversità, anche a dormire sempre di meno. Nel nostro caso gioca un ruolo importante “l’effetto squadra”: se non siamo mai arretrati di un millimetro vuol dire che oltre all’inclinazione naturale, soffriamo anche di patologie compatibili. Per onestà devo anche dire che nel corso degli anni, nonostante ci siano state vicende dentro la Rai molto travagliate e antipatie manifeste, c’è sempre stato il sostegno del direttore di rete di turno. Non c’è dubbio che l’abitudine di portarti in tribunale a prescindere, ha un effetto intimidatorio sul nostro lavoro e quindi sulla libertà d’informazione. Per limitare le liti temerarie basterebbe applicare con maggiore vigore le sanzioni, peraltro già previste dal nostro Codice di procedura civile.

In questa serie ci stiamo occupando del conformismo dell’informazione. Esempio: all’epoca di Monti era di gran moda l’austerità e tutti erano pro austerità, al grido di ‘ce lo chiede l’Europa’. Oggi va di moda la flessibilità, perché Renzi la sostiene. Due posizioni inconciliabili, eppure giornali e giornalisti che furono montiani ora sono renziani.
La ragione è sempre la stessa: conformarsi è più facile, e non ti fai dei nemici. Però austerità o flessibilità non sono due concetti liquidabili come “mode” di passaggio, dipendono dalla stima delle variazioni del reddito, e i suoi effetti cambiano a seconda delle condizioni in cui si trova il Paese. Quando si insedia un nuovo governo penso sia giusto fidarsi della sua politica economica, e credere che ci porterà fuori dalla palude. Dopodiché, strada facendo, il giornalista deve monitorare i fatti in modo pragmatico. Troppo spesso invece lo fa in modo ideologico o si limita a riportare gli slogan, e anche questo contribuisce a confondere e farci sprofondare sempre di più. Occorre però dire che nel nostro Paese chi si danna per un’informazione indipendente, accurata e approfondita, non è premiato, nemmeno dai cittadini. Troppe persone mi dicono: “Fate un lavoro straordinario, ma tanto non cambierà niente!” Quando rispondo: “E lei per cambiare cosa fa?”, di solito mi dicono: “Ha ragione, non facciamo niente”. A volte è scoraggiante… Sembra di essere dentro a un Paese di gomma.

A proposito di Renzi: ha fatto la classifica dei titoli peggiori e se la prende spesso con i giornalisti gufi. Cosa ne pensa?
Che i gufi esistono, ma spesso li confonde con i cani da guardia.

Lei è sempre stata considerata “scomoda”. Cosa vuol dire? Una buona informazione fa bene al sistema, eppure i primi a non rendersene conto sembrano essere i giornalisti.
Abbiamo sempre bisogno di etichettare… Altrimenti non si riesce a fare il titolo. Non sono posseduta dal sacro fuoco, non credo di fare nulla di eroico, e non ho mai pensato di salvare il mondo. Cerco solo di fare al meglio il mestiere per cui sono pagata. È un principio semplice che vale per tutte le categorie, se applicato (e fatto applicare) basterebbe a risanare il sistema.

Il mancato rinnovo della collaborazione con il Corriere della Sera è stato letto come ritorsione per il suo lavoro puntuale. Se così fosse sarebbe un pessimo segnale.
Non ho mai smesso di scrivere per il Corriere! Per quel che riguarda l’accordo di collaborazione con una nostra pagina web, era arrivato a scadenza. Anche le migliori relazioni hanno momenti di pausa; in futuro vedremo.

È l’informazione che si è appiattita sul modo di procedere e ragionare della politica (sempre più semplificato e superficiale) o il contrario?
Politici e giornalisti dedicano troppo tempo a occuparsi gli uni degli altri: questo è il problema!

Da Il Fatto Quotidiano del 30 marzo 2016 

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