Di solito, pur occupandomi di fotografia, evito di parlare dei selfie.

Non per snobismo o per sottovalutazione – sia chiaro – ma per un motivo molto più semplice: non saprei cosa aggiungere a tutto quello che già è stato detto, scritto, dibattuto e sviscerato in un planetario “tutto e il contrario di tutto”.

Ma questa volta sento la chiamata. Oggi il selfie si autocelebra in una nuova vetta raggiunta che lo colloca definitivamente tra le forme d’arte (e dire che questa parola abbinata alla fotografia mi dà sempre un sussulto…).

La “deriva situazionista” è connaturata al selfie e lo caratterizza spesso e da subito (c’è chi si fotografa davanti al relitto della Costa Concordia, per dire) ma a ben guardare in questi casi è una foto ricordo da “voyeur del dopo”, è l’affermazione “io ci sono stato”, ben diversa da “io ci sono”. Manca il “qui e ora” del fatto.

Non so quanto l’inglese Ben Innes che chiede all’improbabile dirottatore un selfie assieme proprio durante il dirottamento stesso ne sia consapevole, ma la sua è una pietra miliare eversiva dell’immaginario, e se decide di sfruttare l’opportunità può diventare una celebrità.

Ma guardatela, la foto: il dirottato, anziché pregare o urlare di terrore, sorride mentre il “pericoloso criminale” appare timido, spaesato, impaurito quasi lui. La dinamica del selfie ha invertito le parti: è chi il selfie propone o impone a detenere, in quel momento, il potere, e la vittima (ma non era il carnefice?) si arrende per compiacere il richiedente anche se malvolentieri.

L’arte del grottesco, l’arte del paradosso, e una situazione che il telegiornale racconta con tinte forti di tensione, azione, pericolo e rischio viene restituita in chiave comica: il passeggero, grande e grosso, impone il suo volere e il suo sorriso stampato al mingherlino terrorista dalla cintura esplosiva carnevalesca. Che spasso!

Ma la foto in questione, oltre a diventare immediatamente virale in rete nella sua valenza iconoclastica, per converso diventa contemporaneamente un documento e riempie le prime pagine di tutto il mondo.

Proprio due giorni fa ho rivisto quel capolavoro di Forrest Gump, e non so perché questa foto me lo ha richiamato alla mente.

Credo sia l’apoteosi del selfie, e a questo punto bisogna ripartire da nuove e altre analisi del fenomeno: suggerisco di sottrarle ai sociologi  affidandole a persone con maggiore fantasia visionaria.

E se questo è il selfie, evviva il selfie!

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