L’evoluzione è un processo caotico, che, come aveva spiegato il premio Nobel Jacques Monod, modifica gli organismi obbedendo alle leggi del caso (che governa la comparsa delle mutazioni genetiche) e della necessità, rappresentata dalla selezione naturale. Tutti gli organismi oggi viventi, anche i più semplici possiedono genomi alquanto complessi, modificati da milioni di anni di mutazioni e selezione naturale. Un ulteriore fattore di complicazione è dato dal fatto che nessun organismo è in grado di “ripulire” il suo genoma dai geni non più utili, accidentalmente duplicati e diventati magari non più funzionali.

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Oggi sappiamo moltissimo sul funzionamento dei geni: la duplicazione del Dna, la sintesi proteica, il codice genetico sono misteri decifrati nel loro intimo meccanismo molecolare da vari decenni. Ciò che non sappiamo, o che almeno non sapevamo ancora, è quanto completa sia la nostra interpretazione del funzionamento dei sistemi biologici: abbiamo scoperto l’essenziale? Cosa manca alla nostra descrizione dei viventi più semplici? C’è un solo modo per rispondere a questa domanda: prendere l’organismo più semplice che esista e modificarne il genoma, eliminando i geni che noi riteniamo non necessari e mantenendo soltanto quello che a nostra conoscenza è essenziale. Se l’organismo così modificato geneticamente sopravvive e si replica, questo dimostra che il nostro sistema di conoscenze, almeno limitatamente a quel tipo di organismo, è essenzialmente completo.

Questo esperimento è stato portato a compimento da un gruppo di ricercatori dell’Istituto Craig Venter ed è stato pubblicato la scorsa settimana sulla rivista Science. Rappresenta un traguardo di importanza fondamentale per la biologia degli ultimi cinquant’anni, perché dimostra la completezza delle nostre nozioni sulla biologia dei batteri. Il primo microorganismo del quale sappiamo tutto è un Mycoplasma (un tipo di batterio molto semplice) e il suo genoma artificialmente modificato è composto da 473 geni, dei quali sappiamo esattamente,per la prima volta, la funzione e la regolazione. Dal genoma del Mycoplasma “selvatico”, non modificato, che comprende 525 geni, classificati come essenziali, non-essenziali e quasi-essenziali, il gruppo dell’Istituto Craig Venter guidato dal dottor Clyde Hutchison, ha rimosso i geni non-essenziali per creare il batterio artificiale, e modificato geneticamente alcuni dei restanti per ottimizzarne il funzionamento.

A scanso di equivoci, è importante sottolineare che il batterio artificiale non è una versione “migliorata” di quello naturale, ed è meno adattabile all’ambiente: certamente se fosse rilasciato dal laboratorio si estinguerebbe rapidamente: perché anche i geni non-essenziali, che sono stati rimossi, hanno una funzione. Infatti lo scopo dell’esperimento non è biotecnologico, almeno al momento: non si intendeva, cioè, creare un OGM da adibire ad un qualsiasi scopo pratico, come si fa da decenni per produrre ad esempio l’insulina umana ricombinante utilizzata nella terapia del diabete. Lo scopo della ricerca attuale è molto più radicale e, al momento essenzialmente conoscitivo: verificare cosa abbiamo capito della genetica batterica e, in fondo, della biologia molecolare; un paio di secoli fa avremmo detto del mistero della vita. E la risposta è che abbiamo capito parecchio. Può darsi che in futuro il batterio minimo, del quale sappiamo, è il caso di dirlo, vita, morte e miracoli, diventi un sistema modello per lo studio del funzionamento di altri geni; ma per ora è il coronamento finale di mezzo secolo di studi.

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