Il grande poeta Ferruccio Benzoni stava seduto sopra una sedia impagliata e mi raccontava di quel che era successo poco prima con una ragazza francese, mentre stavano baciandosi sulla spiaggia di Cesenatico favoriti dal buio della notte. Lei lo aveva guardato negli occhi e gli aveva mormorato, con quella voce rutilante che hanno solo le ragazze francesi: “Ferrucciò, tu est un solitaire…” E lui era andato già di testa per quella frase che secondo lui fotografava la sua anima e il mattino dopo mi lesse una poesia folgorante che sapeva di birra tedesca e di mare salato. Certo lui era un grande poeta… Ma chi a 18 anni non si è sentito un solitario? O una solitaria…

Gli zapatisti del Chapas sono convinti che noi occidentali siamo ammalati di solitudine a causa dell’individualismo. Considerano una vera e propria malattia del corpo e della mente la nostra tendenza a sentirci soli. Loro riescono a concepire la loro vita solo come partecipazione a una comunità. Un’idea che noi abbiamo difficoltà anche solo a pensarla.

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Il senso della collettività è una pulsione primaria naturale che noi abbiamo in parte soffocato. Quando ti metti al servizio degli altri non ti stai sacrificando ma stai prendendo il piacere di fare stare bene le persone che ami: non c’è niente di più bello (ma quante persone ami al di fuori della tua famiglia ristretta?).
Per noi occidentali il senso della collettività è qualche cosa che ha a che fare con la rinuncia a un vantaggio personale. È generoso chi si priva di qualche cosa per gli altri, è egoista chi vuole tenersi tutto per sé. Sono ormai molte le ricerche che dimostrano che fare un regalo provoca una serie notevole di reazioni psicofisiche che innalzano le secrezioni di endorfine e dopamine, droghe naturali che provocano piacere e benessere. Anche chi riceve il regalo sperimenta gradevoli reazioni fisiologiche ed euforia, ma in misura minore di chi il regalo lo fa. È un fenomeno che ha a che fare pure con i neuroni a specchio: vedi il piacere di chi riceve il regalo e nel tuo cervello passa una meravigliosa corrente elettrica in tutti i neuroni che vengono shakerati quando sei tu che ricevi il regalo.

Il che peraltro dimostra che l’essere umano è fisiologicamente buono. Si chiama empatia. La capacità di sentire le emozioni degli altri fisicamente, si condividono le sensazioni che la persona di fronte a noi sta provando. Un fenomeno straordinario scientificamente misurato ma di cui si parla poco. Nittamo Montecucco ha addirittura dimostrato che dopo circa 30 minuti che un gruppo di esseri umani fa la stessa cosa insieme (ballare, marciare, fare meditazione…) si sintonizzano le onde cerebrali, cioè il diagramma dell’intensità delle onde alfa, delta eccetera diventa sovrapponibile.

Quindi se fossi in te diffiderei di medici e psicologi che non ti prescrivono di fare arte, fare sesso, ridere, avere molti amici e far regali. Ma il valore del senso della collettività va oltre i benefici immediati che si traggono dal donare. Il nostro cervello sta bene quando identifica tutto intorno a sé e non vede pericoli. Il massimo di relax il cervello lo trae quando ci troviamo in mezzo al nostro branco. Avere intorno a noi altre persone con le quali siamo in empatia e tutti ci proteggiamo reciprocamente dai pericoli. Sentirsi parte di un gruppo solidale, sentirsi accettati, protetti, aiutati è un bisogno primario potentissimo, paragonabile al bisogno di cibo o al desiderio sessuale. I nostri progenitori saziavano il loro immenso bisogno di coccole spulciandosi e provvedendo all’igiene personale reciproca. Era un sommo godimento (1).

La società moderna ci ha privato di gran parte delle cure reciproche, ha ristretto parecchio lo spazio per coccole, abbracci, grattini e massaggi e limitato pure il numero di persone con le quali questi contatti sono moralmente accettabili. Viviamo una pazzesca deprivazione tattile ed empatica.
Il sangue dei nativi australiani che vivono in comunità primitive ha 5 volte la quantità di serotonina del bianco medio. Loro si alzano al mattino e sono già drogati di benessere.

E questo nostro stato di miseria emotiva è amplificato da una cultura che continuamente ci ripete che siamo soli contro tutti, dobbiamo chiuderci a chiave e armarci ma restiamo comunque sotto la minaccia di milioni di criminali che desiderano solo farci a pezzi. Questo malanno lo puoi curare solo incrementando la tua vita sociale. Così magari ti rendi conto che sforzandoti un po’ puoi trovare esseri umani che non hanno come unico scopo quello di farti del male. Poi coprili di gentilezze e regali. Prima e dopo i pasti.
Non è semplice, vista la paranoia dominante, ma è possibile cadere nel circolo vizioso della fiducia reciproca, del dono, del rispetto e della cooperazione. È un gorgo! Perché quando sperimenti la possibilità di far parte di un branco poi non riesci più a smettere.

 

Nota 1: Per lungo tempo gli zoologi malati di competitività individualista in modo grave, hanno sostenuto che per uno scimpanzé essere spulciato è un segno di potere, perché i soggetti alfa non spulciano i beta. Restava però il fatto che tutti spulciavano i bambini. Erano tutti sottomessi ai bambini? Poi si è scoperto che siccome durante lo spulciamento gli scimmioni si mangiano le pulci dell’altro, essi si trasmettono anticorpi e questo avviene seguendo una gerarchia salutista: i bambini sono la miglior fonte di anticorpi, quindi tutti li spulciano. I soggetti beta (potenzialmente più cagionevoli di salute) aumentano la quantità di anticorpi ingeriti spulciando gli alfa, il contrario sarebbe negativo perché gli alfa rischierebbero di prendere malattie dai beta. Cioè tra alfa e beta c’è uno scambio paritario: spulciamento in cambio di anticorpi e surplus alimentare (le pulci… bleaaaah!!!).

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