di Aurora Notarianni *

Qualche giorno fa le Sezioni Unite della Cassazione hanno deciso sul risarcimento del danno che spetta al lavoratore assunto dalla Pubblica amministrazione nel caso di abusivo ricorso a contratti a termine.

La decisione è importante non solo perché riguarda decine di migliaia di lavoratori ma anche perché evidenzia come il nostro paese intervenga in maniera (spesso inappropriata e comunque) lenta nell’osservanza delle regole europee e nel riconoscimento dei diritti che discendono da queste regole.

Manifestazione sotto la sede della Regione Lazio dei lavoratori licenziati Rsa

E’ il caso di due dipendenti dell’Azienda Ospedaliera San Martino di Genova che avevano lavorato per alcuni anni con contratto a tempo determinato, senza che ricorresse alcuna esigenza temporanea ed eccezionale; rivendicavano dunque la stabilizzazione del rapporto per illegittimità del termine ed il risarcimento del danno.

Il Tribunale di Genova, costatato che il lavoratore pubblico a differenza del privato non può – in base alla legge italiana – ottenere la conversione del rapporto, ha rimesso la questione alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, la quale ha fornito puntuale risposta: tale differenziazione pubblico-privato può, in linea di principio, essere compatibile con la normativa comunitaria purché sussista anche per il dipendente pubblico una misura effettiva e proporzionata che abbia l’effetto di dissuadere dal compimento di abusi (v. qui la sentenza del 2006).

Nella normativa italiana resta infatti la disparità di trattamento tra lavoratore privato che, oltre al risarcimento, ottiene il posto di lavoro ed il dipendente pubblico, che riceve solo il risarcimento e torna a casa senza lavoro. La questione è stata peraltro oggetto di ulteriore esame dalla Corte di Giustizia che, con recenti e famose pronunzie (Mascolo e Papalia), invita il giudice italiano a garantire misure energiche contro l’abuso di contratti di lavoro a tempo determinato nella Pubblica amministrazione.

Dopo quasi dieci anni dalla sentenza della Corte di giustizia gli stessi lavoratori si trovano al cospetto delle Sezioni Unite, il massimo vertice della giurisdizione italiana che deve risolvere i contrasti interpretativi. Qual è la risposta del massimo organo della nostra giurisdizione?

La Corte di Cassazione afferma che il danno risarcibile non è configurabile per la perdita del posto di lavoro a tempo indeterminato, perché una tale prospettiva per il precario della pubblica amministrazione non c’è mai stata (all’impiego pubblico si accede per concorso; art. 97 Cost.). Il danno è, piuttosto, quello che discende dalla violazione di disposizioni imperative, dall’abuso, dalla reiterazione di assunzioni e proroghe contra legem ed è configurabile per la perdita di chance di vincere il concorso o trovare percorsi alternativi.

Viene dunque sostenuta l’adeguatezza del risarcimento onnicomprensivo da 2,5 a 12 mensilità, perché corrisponde a quanto stabilito per il lavoratore privato a tempo determinato e che la misura è dissuasiva ed energica perché il lavoratore non deve dimostrare il danno.

La Corte ragiona in questi termini: mentre il danno per il lavoratore privato è previsto in chiave di contenimento del “maggior” danno risarcibile, per il lavoratore pubblico è in chiave agevolativa in quanto la perdita di chance è presunta ed il danno è liquidato senza necessità di fornirne prova.

La Cassazione ammette tuttavia la possibile esistenza del danno ulteriore, che il lavoratore potrà provare secondo le regole ordinarie. A questo proposito non può escludersi che una prolungata precarizzazione abbia inflitto un pregiudizio che va al di là della perdita di chance e che, ad esempio, abbia cagionato una danno alla salute.

Che fare? Innanzitutto si potrà valutare la condizione di stress lavoro correlato: il lavoratore precario potrà, dunque, chiedere al datore di lavoro ed al medico competente che sia valutata la propria condizione di stress lavoro-correlato, dimostrandola ad esempio con analisi cliniche che individuino i livelli di specifici di cortisolo nel sangue.

C’è poi un altro aspetto di danno da tenere in considerazione.

Il danno morale da fatto illecito in quanto l’abuso nella reiterazione dei contratti a tempo determinato è un fatto illecito e da esso consegue un danno risarcibile, essendo ipotizzabili almeno due diversi profili: il danno da perdita di speranza di vita (quella ad esempio di contrarre matrimonio e mettere al mondo figli) e il danno da paura per la perdita del lavoro; questa ipotesi di danno da paura non richiede prova specifica e può essere risarcito così come lo è stato il danno morale per il patema d’animo dei cittadini di Seveso preoccupati per le ripercussioni sulla salute provocate da un ambiente inquinato da sostanze altamente tossiche. Un risarcimento che, come sottolinea la Suprema Corte, «ben può essere provato per presunzione, essendo sufficiente la rilevante probabilità del determinarsi» del patema d’animo e della sofferenza interna dovute alla preoccupazione di non avere più un lavoro.

La questione resta tuttavia aperta: posto che non c’è ragione per escludere che anche il lavoratore privato richieda il risarcimento del danno ulteriore, quale è (o sarà) per il dipendente pubblico la misura compensativa della definitiva perdita del lavoro che sia realmente energica in conformità alla decisioni della Cgue?

* Avvocato giuslavorista, attenta al diritto euro-unitario ed alla giurisprudenza delle Alte Corti, non trascuro la difesa nelle connesse materie di diritto penale. Dedico il mio impegno, negli organismi e nelle associazioni dell’avvocatura ed in altre non profit, per le azioni di genere e per la formazione e l’occupazione dei giovani e, più in generale, per la tutela dei diritti fondamentali. Nell’ultimo anno ho affrontato il tema dell’immigrazione con la Scuola Superiore dell’Avvocatura partecipando, quale componente senior, al gruppo di studio sul Progetto Lampedusa. La mia terra di nascita è la Calabria, la Sicilia quella di adozione. Vivo e lavoro a Messina ma adoro viaggiare.

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