Una banda specializzata in rapine e sequestri nei confronti di stranieri sgominata oggi al Cairo con la morte di cinque suoi componenti “è dietro all’uccisione dell’italiano Giulio Regeni” e in casa di familiari di un componente della banda è stato trovato il passaporto ed altri documenti del ricercatore friulano, morto in circostanze misteriose in Egitto. La conferma del ministero dell’Interno egiziano di un collegamento tra la scoperta della banda, annunciata in mattinata, e la morte del giovane ricercatore italiano, arriva in serata dopo che per tutta la giornata c’erano state indiscrezioni di fonte giornalistica sul possibile ruolo della banda nel rapimento e nell’uccisione del ricercatore.

Infatti, a due mesi dal giorno dalla scomparsa le autorità del Cairo avevano rilanciato la pista della criminalità. Il sito del quotidiano filo-governativo el-Watan, citando una fonte anonima della sicurezza, scriveva che la polizia egiziana avrebbe ucciso cinque persone che “molto probabilmente sono coinvolte” nell’omicidio del ricercatore italiano. La fonte ha spiegato che i cinque, originari del governatorato di Sharqiyya (delta del Nilo) e da Shubra El-Khema, a nord del Cairo, e freddati in uno scontro a fuoco nel quartiere di Heliopolis, facevano parte di un’organizzazione criminale dedita al sequestro di stranieri, per il quale ricorreva al travestimento con abiti da funzionari di polizia. Regeni, scomparso al Cairo il 25 gennaio, era stato ritrovato morto il 3 febbraio in un fosso lungo la strada tra la capitale e la città di Alessandria. L’autopsia effettuata al Cairo ha rilevato sul suo corpo segni di torture.

Un altro quotidiano egiziano frena sull’ipotesi. “Una fonte della sicurezza – scrive Al-Ahram – ha smentito informazioni pubblicate da siti web che legano l’omicidio dell’accademico italiano Giulio Regeni alla banda specializzata nel sequestro e rapina di stranieri a New Cairo. La fonte ha dichiarato che gli apparati di sicurezza continuano il loro lavoro per svelare l’omicidio dell’italiano e anche i crimini commessi da questa banda, e se c’è un rapporto tra loro”, conclude il sito riferendosi alla tortura a morte del giovane ricercatore e l’attività del gruppo.

Non è la prima volta che le autorità del Cairo collegano la morte di Regeni alla semplice criminalità. Nelle ore immediatamente successive al ritrovamento del cadavere, il direttore dell’Amministrazione generale delle indagini di Giza, il generale Khaled Shalabi, disse che non c’era “alcun sospetto crimine dietro la morte del giovane” e che le indagini preliminari parlavano di un “incidente stradale“.

Il 18 febbraio il quotidiano filo-governativo egiziano Al Youm 7 online scriveva che il giovane “sarebbe stato ucciso da agenti segreti sotto copertura, molto probabilmente appartenenti alla confraternita terrorista dei Fratelli Musulmani, per imbarazzare il governo egiziano”. Il 24 febbraio, poi, gli inquirenti parlavano di “un movente criminale o il desiderio di una vendetta personale”. Una pista così poco credibile da far dire al ministro degli Esteri Paolo Gentiloni che “non ci accontenteremo di una verità di comodo né di piste improbabili, come quelle evocate oggi dal Cairo”.

Gli investigatori italiani presenti in Egitto nell’ambito dell’inchiesta della Procura di Roma sulla morte del 28enne di Fiumicello sono stati informati dell’uccisione dei 5 sospettati. I pm di piazzale Clodio attendono ora comunicazioni ufficiali da parte della magistratura del Cairo, in base anche alla collaborazione suggellata con l’incontro di una settimana fa tra il procuratore capo Giuseppe Pignatone e il procuratore generale della Repubblica araba d’Egitto, Nabil Ahmed Sadek.

Intanto, a due mesi dal 25 gennaio, giorno in cui di Regeni si persero le tracce al Cairo, Antigone lancia la mobilitazione online: “Dopo due mesi dalla scomparsa di Giulio Regeni siamo lontani da qualcosa che assomigli alla cooperazione giudiziaria – dichiara Patrizio Gonnella, presidente di Antigone e CILD – ’impegno del Presidente egiziano Al-Sisi non ha prodotto fatti concreti. Siamo fermi e cresce pericolosamente il rischio dell’impunità”. “L’invito che rivolgiamo a tutti – dice ancora Gonnella – è quello di farsi una foto con un cartello in mano nel quale ci sia scritto semplicemente ‘Verità per Giulio‘, condividendolo il 25 marzo”. L’hashtag dell’iniziativa è #VeritaPerGiulio, che riprende la mobilitazione lanciata da Amnesty International Italia a cui hanno aderito cittadini, associazioni e istituzioni, tra cui il comune di Milano e quello di Bologna.

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