Quella al Bardo di Tunisi è stata una visita con tratti commoventi e disorientanti. Ma non esattamente quelli che avevo previsto. All’ingresso, al cancello, ovviamente si viene perquisiti. E’ un rito di rassicurazione. Nella borsa ho anche un microfono gelato, portato nell’ipotesi improbabile di interviste. Il poliziotto lo alza, lo porta davanti alla bocca, per pochi secondi canticchia, poi simula i gesti di un cantante. Sorride “prego passi signore”.

Il grande mosaico stile romano appena realizzato da artigiani di El Djem – con le facce delle vittime dell’attentato del 18 marzo 2015 è deposto orizzontalmente sull’erba. Non ha resistito al vento, In verticale è rimasta una specie di stele con il ritratto del cane poliziotto ucciso nell’assalto. I visitatori non solo si fermano al mosaico delle vittime, ma ci si fanno i selfie. Ai bordi destro e sinistro del lungo rettangolo ci sono i nomi con accanto una tessera di mosaico colorata, ognuna con un colore diverso, oppure doppia: bisogna cercare lo stesso tipo di quadratino di mosaico per identificare i ritratti corrispondenti.

Mentre cerco la complicata corrispondenza mi arriva la telefonata della consigliera dell’ambasciata d’Italia, alla quale ho chiesto conferma delle identificazioni. I nostri italiani ci sono tutti e quattro, con però un paio di errori di ortografia e un posizionamento di tessera di mosaico sbagliato.

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Nelle foto Orazio Conte, Giuseppina Biella, Francesco Caldara, Antonella Sesino

Non ci sono stati contatti diretti e ufficiali tra l’Associazione che ha promosso l’iniziativa, il Museo del Bardo che la ospita, l’Ambasciata italiana, i parenti delle vittime. Tutto è avvenuto un po’ spontaneamente. Conveniamo di chiedere le correzioni agli autori del mosaico. I quattro volti che mancano, non pervenuti, sono quelli delle vittime sudamericane. Più tardi col torinese Gaetano Poppa, amico e sostenore dei democratici tunisini, discutiamo dell’idea di promuovere sui social le visite al Bardo: innanzitutto, se se la sentono, i parenti e gli amici delle vittime.

Svolti i compiti di verifica che mi ero dato, oltrepasso il mosaico delle vittime, con un senso di confidenza e familiarità che non avevo. I mosaici sono un po’ come dei fumetti antichi, una pittura naif, sdrammatizzano. Proseguo con altre osservazioni. Le palme qui come altrove defoliate da un infestante, si sono un po’ riprese. All’ingresso del Museo che è stato ampliato e ristrutturato due anni fa, c’è una sala dibattiti concerti e conferenze. Un gruppo di folklore algerino sta provando. Poi, prima dell’esposizione vera e propria c’è l’elenco delle vittime scritto sul muro, come i nostri caduti di guerra sulle facciate dei vecchi palazzi comunali.

I mosaici romani (per chi non ne abbia già visti e stravisti) lavorano nel nostro immaginario consolidato, corpi, piante, pesci, animali, il bel mondo dei nostri tris/tris/tris nonni comuni ai tunisini di oggi. Al mio giovane accompagnatore tunisino non dicono granché. Cerco di trovare le parole, o i gesti, che usarono i miei genitori quand’ero piccolo, per farmi apprezzare l’arte o l’archeologia. Ma devo dargli ragione sul fatto che il Museo almeno oggi – ha delle sequenze interne incomprensibili e neanche del tutto apprezzabili. All’uscita mi confermano che varie sale di mosaici romani sono chiuse, ecco perché mi sembrava di averne viste di più due anni fa.

Nella sala concerti e conferenza intanto, una scena sonora inattesa. Si sprigiona il pianoforte, polacca Eroica di Chopin. Non è una registrazione, sta suonando un giovane giapponese. Un signore di una certa età, col bastone, cieco, gli sta accanto, curioso e concentrato, come se potesse vedere. Il mio giovane amico, che in genere apprezza Britney Spears, questa volta è incantato. Cos’è sta meraviglia? Chopin, un europeo, un polacco, anzi probabilmente era anche gay. Vuol farsi fotografare accanto al pianista. Ho provato a riprendere il tutto. La faccia del ragazzo, che mi ha da poco ripetuto che se ci riesce se ne va in Europa per anni se non per sempre “to start a new life”, le palme, i lineamenti moreschi del palazzo del Museo, i mosaici romani, il pianista giapponese. Attimi fuggenti e sapori millenari, è così?

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