Sospetti jihadisti fermati a Cipro, erano pronti ad imbarcarsi per l’Europa. Le autorità di sicurezza cipriote, nell’ultima settimana, hanno identificato più di 30 persone riconducibili all’Isis all’aeroporto internazionale di Larnaca, in procinto di prendere un volo che li avrebbe condotti in una destinazione del centro Europa. A Cipro le misure di sicurezza sono diventate draconiane già dopo l’attacco al Bataclan, perché si presume che l’isola, divisa in due da una green line dell’Onu, potrebbe essere utilizzata come stazione di transito dai jihadisti che arrivano sull’isola principalmente attraverso la parte nord, che dal 1974 è abusivamente occupata da 50mila militari turchi che non fanno controlli. Nella cosiddetta Katekomena, infatti, si giunge solo da suolo turco e dal momento che si tratta di un’entità non riconosciuta né dalle Nazioni Unite né da altri organismi internazionali per via delle modalità illegali con cui è stata occupata da Ankara, gli investigatori ciprioti la considerano un’autostrada naturale per potenziali terroristi.

Per questa ragione i servizi ciprioti sono in costante contatto con i colleghi europei e con le ambasciate per lo scambio di informazioni sulla circolazione delle persone sospette, inaugurando di fatto le buone prassi di quella che secondo molti analisti dovrebbe essere la strada da seguire per fare prevenzione: “l’eurointelligence” e la messa in comunione di volti in transito e ipotesi su percorsi e destinazioni. Nei due aeroporti di Cipro sono stati dislocati 120 soldati della Guardia nazionale, stessa allerta aumentata nei porti maggiormente frequentati come Limassol, dove alta è la presenza russa tra uomini di affari e società che hanno sede lì.

Ankara tra l’altro proprio grazie all’accordo sui migranti raggiunto con l’Unione Europea (su cui permane l’intenzione di veto da parte del governo di Nicosia, per via degli interessi legati al gas ed all’approvvigionamento energetico), vorrebbe normalizzare anche i rapporti con Cipro che è uno Stato membro dell’Ue, ma di contro non ammette le violazioni di dieci protocolli, tra trattati e convenzioni internazionali.

A seguito dell’occupazione della parte settentrionale con bombardamenti e uccisioni di cittadini ciprioti, in risposta ad un tentativo di colpo di Stato greco, la Turchia dal 1974 mantiene in loco 50mila soldati che di fatto non fermano il passaggio di sospetti, ma nel corso degli anni ha favorito il contrabbando di opere d’arte e ha devastato tutti i luoghi di culto non musulmano: come il cimitero maronita di Tersia, raso al suolo dai carri armati, la chiesa dell’Arcivescovo Armeno nella parte occupata di Nicosia, la chiesa della Santa Vergine di Akentou a Lefka, la chiesa del Profeta Elia a Fylia o la chiesa dei Santi Sergio e Bacco ad Agios Sergios che attualmente occupa un circolo ricreativo turco.

I luoghi non distrutti sono stati trasformati in bordelli, resort a cinque stelle o stalle per animali come la chiesa di San Giovanni il Precursore a Neo Choriò nella cittadina di Kythrea, abitata da pecore e mucche, che ha suscitato nel 2006 anche una risoluzione del parlamento europeo. Ma il primo rapporto è datato 1975, redatto dal rappresentante canadese dell’Unesco, J. Dalibrad: non fu però mai pubblicato per le forti pressioni politiche di Ankara.

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