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In tutto l’inevitabile sovrapporsi di voci concitate, di reportage minuto per minuto, di analisi interessate troppo spesso a portare acqua al proprio mulino politico, di commenti “autorevoli” un po’ improvvisati e banalmente scontati sugli attentati di Bruxelles le riflessioni di Giancarlo Caselli nell’intervista al Fatto fanno un po’ di chiarezza e individuano delle priorità.

Il primo punto che tutti condividono a parole, ma che sembra tuttora lontanissimo dal trovare reale applicazione, è la tanto agognata sinergia europea nella lotta al terrorismo che si scontra con la situazione paradossale per cui “dalla libera circolazione sono esclusi poliziotti e magistrati nell’esercizio delle funzioni”: una condizione che nega alle radici la possibilità di istituire la Procura europea. Quanto questo obiettivo sia talmente lontano da sembrare attualmente impossibile lo confermano drammaticamente i “difetti di comunicazione” e di coordinamento anche tra due paesi confinanti e vicinissimi per storia, lingua e cultura come la Francia e il Belgio.

La seconda questione, costantemente ignorata da quelli che lucrano sulla paura e sull’avversione per lo straniero o viceversa declinata nel buonismo a buon mercato da parte di chi riversa ogni colpa sull’Occidente e sull’Europa, attiene al curriculum dei terroristi-kamikaze-macellai.

Anche per Bruxelles come per Parigi si tratta di persone cresciute e formate nel cuore dell’Europa che, come si è visto con l’arresto di Salah, godono di protezione e di solidarietà nel quartiere da cui provengono e si nascondono.

E questo dato inconfutabile sottolineato da Caselli, deve ricordarci come “dall’ingiustizia nascano violenza e rabbia fino alla macelleria” ma contemporaneamente anche l’insegnamento fondamentale che abbiamo tratto dalla lotta al terrorismo in Italia, di cui quello attuale è una progressione nella disperazione e nell’orrore.  E cioè che non può esserci vittoria nella lotta al terrore se non c’è prima l’isolamento politico dei terroristi-macellai, se non vengono percepiti come pericolosi e nemici per lo stesso ambiente da cui provengono, le banlieue o i quartieri  delle grandi città europee dove sono insediati da una o più generazioni, che ci piaccia o meno.

La prima condizione per creare l’isolamento politico di chi si fa macellaio di se stesso per diventare macellaio di chiunque abbia la sventura di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato sono la credibilità, il rigore e la coerenza prima ancora dell’esercizio, indispensabile, della forza. E la domanda che si pone Giancarlo Caselli, e che ci eravamo posti a dire il vero non in moltissimi da quando era partita inizialmente l’asse Putin-Hollande dopo il 13 novembreè sempre quella più elusa ed ingombrante. Come si può parlare di una cooperazione internazionale su cui si allungano le ombre di protagonisti come Putin, Assad, Erdogan, Arabia Saudita che non solo sono portatori di “interessi contrapposti”, come viene detto abitualmente ma esempi macroscopici di diritti e libertà calpestate, di ingiustizia e prevaricazione perpetrate con ogni mezzo? Possono essere questi i nostri alleati con poteri di direzione e di “soluzione”, come ha dimostrato Putin in Siria, per esportare la democrazia ed isolare politicamente il terrorismo?

Se senza diritti non c’è giustizia e senza giustizia non c’è pace, principio con cui è difficile essere in disaccordo, si fatica a capire come si possa individuare in Vladimir Putin un interlocutore necessario e privilegiato e caldeggiare il suo massimo coinvolgimento per un “salto di qualità” e “un’assunzione di responsabilità” come ha fatto da ultimo anche Di Battista.

 

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