Bruxelles attentato 675

Bruxelles si risveglia ancora una volta tra le grida di dolore dei suoi abitanti. Alle 8 di ieri mattina attacchi multipli e coordinati colpiscono l’aeroporto di Bruxelles e la sua metropolitana. Mentre scriviamo il bilancio è di 34 morti, con oltre 100 feriti. Tra i primi elementi che saltano all’occhio immediatamente, c’è la valenza fortemente simbolica dell’attacco. A pochi passi dalla fermata Maelbeek, dove è esplosa una bomba, c’è il cuore pulsante delle istituzioni europee rappresentate dalla Commissione europea e dal Consiglio europeo.

Dopo poche ore dai fatti, l’Isis si è assunta la responsabilità degli attentati, rivendicandone la paternità. Dunque ancora una volta un attentato di matrice islamica, ma questa volta oltre alla strage di inermi civili, entrano in scena gli elementi simbolici dell’Europa istituzionale. Ancora non si sa molto sulle identità degli attentatori, ma le autorità e le istituzioni sostengono che abbiano la cittadinanza di uno dei paesi dell’Ue, pertanto sarebbero dei cosiddetti immigrati di seconda generazione, presumibilmente originari del Nord-Africa.

Non è dunque affatto una provocazione affermare che la minaccia nasce all’interno della stessa Europa. Le ragioni sono molteplici, ma su tutte sembra esserci in particolare, quella della assoluta mancanza di senso di appartenenza degli attentatori verso i luoghi dove sono cresciuti, i quali non hanno mai potuto e voluto integrarsi nell’Unione, ma sono rimasti in una terra di nessuno, a metà tra l’Europa e l’Africa. Tra queste due, hanno preferito la seconda e tornare così alle loro origini per abbracciare l’estremismo islamista che si prefigge di distruggere l’odiata Europa, da convertire alla religione islamica.

Questi nuovi cittadini evidentemente hanno avuto una crisi di rigetto nei confronti del vecchio continente, probabilmente perché era stata loro promessa una vita sociale migliore di quella dei loro padri, mentre alla fine si sono ritrovati ad essere cittadini di serie B, confinati nelle banlieue dei centri urbani. L’Europa non li ha accolti nel suo grembo per spirito umanitario o progressista, ma piuttosto si è servita di loro come strumento di rimozione delle identità europee. Il progetto europeo si proponeva come suo scopo ultimo, quello di raggiungere una unità politica, culturale ed economica, che aggreghi dentro di sé molteplici realtà identitarie, sulla carta difficilmente conciliabili. Negli anni ’90, qualche rara voce mossa dal buon senso, si chiedeva cosa mai avessero in comune un cittadino greco con uno svedese. Una domanda che ancora non ha trovato una risposta sensata, e sostituita dalla declamazione della retorica europeista che prometteva un futuro migliore per tutti. Era sufficiente guardare avanti, e avere fede nell’eurocrazia che avrebbe fatto tutto da sé, e assicurato il benessere della civiltà europea.

Nel frattempo si aprirono le porte alle migrazioni dai paesi afro-asiatici, e si iniziò a parlare con maggiore insistenza della necessità di una società europea multiculturale e multietnica. L’esigenza del multiculturalismo nasce dalla necessità di creare un cittadino nuovo, artificiale e senza identità. Solo questo tipo di cittadino, si pensava, poteva accettare di vivere in un’Europa unita fatta in laboratorio, fondata sul principio della mescolanza delle razze e delle culture. Si è giunti a questo punto, e all’inevitabile choc culturale perché la globalizzazione e l’Europa multiculturale, avevano le condizioni in nuce per crearlo. Il risultato attuale nasce dalla visione di una società antistorica, che nega le differenti tradizioni sociali e culturali dei popoli europei. Se l’Europa unita ha finito inevitabilmente per esaltare ancora di più le differenze tra i singoli popoli europei, come si poteva pensare ad una convivenza senza contraccolpi, tra questi e quelli afro-asiatici?

Piuttosto che fare i conti con questa evidenza, l’eurismo preferisce spostare in avanti il traguardo dell’integrazione. Non appena hanno avuto luogo gli attentati, si sono succedute con un tempismo perfetto le dichiarazioni di circostanza delle istituzioni, che chiedono di andare avanti per avere più Europa. È stato lo stesso premier Renzi ad individuare nella soluzione del problema, la creazione di una struttura europea unica che gestisca la sicurezza e la difesa in modo unitario. In questa chiamata di Renzi, si esorta l’Ue “ad andare fino in fondo “ e a realizzare quanto prima questo proposito. Questa struttura gestirà le questioni della sicurezza in modo unitario, e gli stati sovrani dovranno conseguentemente sottostare alle sue direttive. Un’altra cessione di sovranità, quindi, che va nella direzione di realizzare un Superstato europeo, che si faccia carico non solo della politica fiscale e di bilancio delle singole nazioni, ma anche della loro sicurezza e difesa. Non si può fare a meno di notare che questi cambiamenti sono indotti dal deflagrare di crisi sistemiche, che ogni volta consentono di raggiungere il gradino successivo. La logica montiana in questo, sembra perfettamente coerente: senza crisi, non è possibile indurre il cambiamento voluto dall’élite governante.

La minaccia del terrorismo islamico assume pertanto una funzione espansiva per il progetto europeo, a differenza di quella contenitiva della strategia della tensione del secolo scorso. Mentre quest’ultima difatti, aveva la funzionalità di impedire che la società italiana si spostasse verso l’orbita del partito comunista, e che avesse luogo uno slittamento dell’Italia dalla Nato verso il Patto di Varsavia, la minaccia del terrorismo islamico viene utilizzata per espandere il processo di integrazione europeo. Senza shock di questo tipo è difficile pensare che l’opinione pubblica europea, sempre più scettica sulle istituzioni europee e nostalgica dei tempi della sovranità perduta, accetti di restare a bordo e di proseguire questo viaggio. Si dice ai cittadini europei di non uscire dal recinto dell’Europa unita, perché si deve affrontare unitariamente la minaccia del terrorismo islamico, e non si mette mai in discussione quel modello di Europa che permette al terrorismo di prosperare.

Questa è probabilmente la dimostrazione del fallimento completo della visione dell’europeismo, fallace nelle sue stesse premesse di finalità unitarie. Se si aggregano forzatamente culture profondamente diverse, si provoca l’inevitabile scontro delle weltanschauung; se si fondono delle economie strutturalmente diverse, si polverizzano le capacità di crescita dei singoli sistemi economici. Il risultato finale è quello di un’Europa unita che disunisce i popoli, disgrega la socialità e acutizza il conflitto economico e culturale tra i popoli che la abitano.

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